Al netto di simpatie o antipatie renziane, ci sono quattro punti che l’attuale Premier dovrebbe spiegare.
1) L’arresto disposto dal gip di Messina per il diversamente immacolato Francantanio Genovese, deputato renziano (sì, renziano) su cui Franca Rame aveva già messo in guardia tutti un anno fa sulle pagine del Fatto Quotidiano. Lo inserì nella lista degli impresentabili, ma Bersani e la presunta Commissione di Garanzia esclusero solo Crisafulli e Papania. Genovese e Bubbico, evidentemente, a Bersani e Pd piacevano. Per avere contezza di chi fosse Genovese bastava guardare una puntata diReport andata in onda prima delle elezioni 2013, ma forse i piddini quella sera erano distratti. Quando Genovese è salito sul carro del vincitore, Renzi non ha mosso ciglio. Va bene tutto pur di fare numero. Venghino signori venghino (cit).
2) La Barracciu, quella che non poteva governare la Sardegna ma per Renzi va benissimo come sottosegretaria, secondo i pm ha mentito. Lei aveva detto che “coi magistrati è tutto chiarito”, ma non pare. La sua situazione è appena più complicata di quanto la diretta interessata raccontasse. La ministro Boschi ha detto che “non ci si dimette per un avviso di garanzia”. Eppure, quando si trattava di condannare (a parole) Alfano e Cancellieri, Renzi e renziani erano assai su di giri. Quasi giustizialisti, sebbene non ci fossero neanche allora avvisi di garanzia ma solo umana (in)decenza. Questione morale a singhiozzo?
3) Matteo Renzi ha vissuto per quasi tre anni un un appartamento di Firenze vicino a Palazzo Vecchio, in via degli Alfani 8. A pagare l’affitto è stato l’amico Marco Carrai. Renzi sta facendo finta di nulla, i renziani si difendono asserendo teneramente che la notizia è stata tirata fuori da Belpietro e dunque non vale. Invece vale, perché è vera. Marco Carrai, consigliere del premier vicino a Comunione e Liberazione che in passato ha guidato Firenze Parcheggi, è ora presidente di Aeroporti Firenze e di Fondazione Open (ex fondazione Big Bang che ha gestito le campagne elettorali di Renzi). Il punto è: ci furono favori reciproci tra i due? Non sono soltanto i soliti disfattisti a porsi tale domanda (retorica). La Procura di Firenze ha infatti appena aperto un fascicolo. Vamos.
4) E’ forse il punto più rilevante, anche se ne parla quasi solo Il Fatto. Lo racconta da giorni, con puntuale efficacia, Marco Lillo. Josefa Idem è indagata per truffa aggravata per i contributi della sua pensione. Il problema è che la sua situazione non è così dissimile da quella di Renzi. La Idem è a un passo dalla richiesta di rinvio a giudizio per una presunta marachella da 8 mila. Renzi, per una situazione simile costata alla collettività quasi 300 mila euro, continua a non rendere conto a nessuno. Racconta Lillo: “Renzi pontifica indisturbato sulle pensioni altrui anche se la provincia e il comune di Firenze gli hanno versato i contributi (da dirigente e quindi ben più elevati di quelli da semplice dipendente della Idem) per poco meno di 10 anni (..) Si è fatto assumere dalla società Chil della famiglia un giorno prima l’annuncio da parte della Margherita della sua candidatura a presidente della Provincia. Fino a 10 giorni prima dell’assunzione, avvenuta il 27 ottobre 2003, Matteo Renzi era socio con una quota del 40 per cento della Chil Srl. All’atto di cessione delle quote si dichiara ‘libero professionista’, perché era un mero co.co.co. non un dirigente. Matteo e la sorella Benedetta quel giorno cedono le quote alla mamma e al babbo e solo a quel punto, quando Renzi è pronto a candidarsi alla presidenza della Provincia con garanzia quasi matematica di elezione, i genitori decidono di assumerlo. Per 7 mesi e mezzo, fino all’elezione nel giugno 2004, Chil paga i contributi poi il peso della pensione, del tfr e dell’assistenza di Renzi passa sulle spalle dei contribuenti fiorentini. Grazie all’assunzione nella Chil, Renzi si è fatto versare una massa enorme di contributi, se confrontati con quelli di Josefa Idem. I fiorentini hanno pagato fino al mese scorso ben 3 mila e 240 euro al mese per i contributi di Matteo Renzi”.
Il Premier non è indagato, ma come sostiene Lillo potrebbe rinunciare ai contributi e restituire il Tfr pagato dai contribuenti. Troppo comodo chiedere sacrifici ai pensionati per poi arraffare – in questo modo – anzianità contributiva e Tfr: l’ennesima variante, per dirla col poeta, di “fare i froci col culo degli altri”
di Andrea Scanzi
Il Fatto Quotidiano 20.03.2014