È stato orribile, il segno della tendenza carsica di questo Paese a forme di servilismo volontario”. Esibizione di sé e cortigianeria. La scena littoria del neo premier accolto nella scuola di Siracusa da una schiera di bambini allineati che intonano un coro, con le maestre a dettare il tempo, ha il sapore di un ritorno al passato, al ventennio berlusconiano, se non peggio. Lo ha spiegato due giorni fa Carlo Freccero, lo ripete anche Marco Revelli, torinese, storico e sociologo della politica: “Berlusconi ci ha abituato a tutto, soprattutto alla rappresentazione ipertrofica di sé come momento unificante con il popolo. Qui c’è anche un elemento peggiorativo nello stile”. Il nuovo, rispetto a B., è la scenografia, il luogo dell’esibizione: “Non si era mai arrivati nelle scuole. L’omaggio della subalternità affidata a dei bambini, a chi non ha ancora la piena capacità di intendere e volere, costretto a fare da coretto per il signore di turno. Queste forme appartengono all’Italia monarchica e al fascismo”.
UN CULTO della personalità che per Revelli si esplica secondo schemi radicati nella storia del Paese. C’è la fragilità delle élite che “risale al tempo delle signorie, all’asservimento allo straniero delle nostre classi dirigenti”.“È incorporato nel nostro Dna – spiega il sociologo – la pratica del servire qualche viceré, non dico l’imperatore”. Ma c’è anche “una fragilità delle nostre masse popolari, che hanno acquisito tardissimo la consapevolezza dei propri diritti, anche dopo l’avvento della modernità. Nel 1648, quando noi piegavamo la schiena e baciavamo le mani al signore di turno, gli inglesi firmavano l’Agreement of the people, il patto del popolo. Nemmeno il risorgimento è riuscito a costruire una nazione, intesa come popolo. Siamo stati per lungo tempo uno Stato senza cittadini. Abbiamo avuto la resistenza come momento di dignità,per poi vivere di rendita”. Il malessere morale del “servo encomio” affligge da tempo la società tutta, ma diviene imperdonabile quando intacca le istituzioni (“il punto più basso lo abbiamo raggiunto con il voto del parlamento sulla nipote di Mubarak”) e l’informazione: “Con Berlusconi, un bel pezzo di giornalismo ha abdicato al buon gusto e alla dignità. Quanti editoriali del Corriere della Sera hanno celebrato la sua figura?”.
La scuola di Siracusa si configura così come l’ultima tappa di un percorso il cui solco è stato già tracciato: “È un’immagine che spiega l’antropologia malata di una nazione, le sue cadute, la corsa al servizio del nuovo padrone”. Senza chiamate, per una innata forma di propensione naturale a rinunciare alla libertà come dovere morale. “Piero Go-betti nell’Elogio della ghigliottina scrisse che né Mussolini né Vittorio Emanuele hanno virtù di padroni, ma gli Italiani hanno bene animo di schiavi”. Un salto all’indietro, che per Revelli è lo specchio di un vuoto pneumatico di cui si percepisce a stento il pericolo. “Gliel’avevano preparata autonomamente. Non l’aveva neanche chiesta. È un atteggiamento che si manifesta ante litteram, senza che abbia ancora dimostrato nulla. Un te deum prima della battaglia. Il coro dei bambini esprime l’horror vacui, la paura che dietro ci sia il nulla”.
ASSUEFATTI al ventennio berlusconiano, agli omaggi gratuiti e alle accoglienze trionfali, abbiamo smesso di stupirci, eppure si “annuncia una nuova metamorfosi nella crisi della nostra democrazia, che unisce alla iper-personalizzazione il contatto diretto tra capo e massa”. Se Berlusconi si identificava con la comunicazione, soprattutto televisiva, perché “aveva lavorato molto sull’immaginario”, ma con dietro “un’enorme fortuna economica”, Renzi non ha nulla sotto di sè: “Ha una società liquefatta”. Il rischio è che l’ex sindaco di Firenze tenti di ripetere la stessa operazione, “ma dentro un sistema multimediale molto più reticolare: eleverà a valore la crisi della politica, smarcandosi dalla casta, come se non contasse, in nome del transfert diretto”.
Il Fatto Quotidiano 08.03.2014