Un gruppo di parlamentari di centrodestra e centrosinistra ha introdotto un emendamento dentro un decreto omnibus per concedere altri tre anni agli imprenditori del mattone, per mettersi in regola e ottenere così i finanziamenti per la costruzione di edifici convenzionati. Tra i beneficiari c’è il gruppo Ligresti.
Non sono sette ma quasi diciassette. Beneficiari di una proroga di una norma sepolta dagli anni e oramai defunta. Ma quella norma – risalente a prima di Tangentopoli – conteneva un mucchietto di soldi, cento milioni di euro. Soldi riacciuffati in extremis e affidati a costruttori di buona stazza e di ottime conoscenze. I nostri campioni s’aggireranno per campagne e città e busseranno alla porta di sindaci e presidenti di Regioni. Hanno da costruire case per i poliziotti. Aggiungeranno a quelle case delle altre, mattoncini per l’edilizia residenziale privata, e centri commerciali e ogni ben di Dio. E’ il corrispettivo che lo Stato concede loro per l’impegno. Sceglieranno i luoghi più ospitali e procederanno con il cemento.
In effetti avevano vent’anni di tempo per portare a compimento l’affare, ma in vent’anni e più non hanno costruito niente. Colpa mia? Colpa tua? Vattelapesca. La legge che decreta il via al programma di edilizia convenzionata, sovvenzionata o totalmente finanziata risale infatti a a prima di Tangentopoli. Era il 1992. C’erano ancora le lire e si decise di varare programmi di edilizia straordinari, i cosiddetti “articoli 18”, per consentire ai dipendenti della polizia di ottenere una abitazione e al contempo offrire ai costruttori di questa edilizia finanziata margini di espansione produttiva nelle adiacenze di quelle aree. Fu emanato un bando, stilata una graduatoria di imprese adeguate alla prova da sforzo, e iniziati a spendere i soldi. Un battaglione di privati cooperanti con lo Stato avrebbe proceduto a ridurre i tempi della localizzazione delle opere, curare la progettazione e la realizzazione. C’è stato chi si è sbrigato prima e chi non ha fatto in tempo. Il governo Monti, nel famigerato decreto Crescita, decise di ripulire il bilancio dello Stato dai capitali mai investiti. Decise dunque di darci un taglio anche con questo programma e, visti i ritardi, offrì ai costruttori ritardatari un’ultima chance: entro il 31 dicembre del 2013 chi aveva perso tempo doveva essere considerato out. I soldi risparmiati sarebbero stati riallocati (una possibile destinazione quella della manutenzione degli immobili degradati). Un po’ di soldini in più e nuove energie liberate. Allora tutti d’accordo? Tutti d’accordo: al 31 dicembre chi è dentro è dentro e chi è fuori rimarrà fuori…
Invece no. E la storia qui prende le sembianze miracolose dell’intercessione divina. Incredibilmente qualche giorno fa si è formata una fantastica schiera di parlamentari supporters dei costruttori ritardatari. Un gruppetto di senatori di ogni razza e colore, di larghe e coincidenti intese, è riuscito a spingere dentro uno dei decreti omnibus in votazione al Parlamento l’emendamento d’oro che risistema il timing e dà altri tre anni di tempo ai ritardatari per mettersi in regola.
È davvero un bel regalo, un grande pacco che una serie di imprese, tra cui la Grassetto delgruppo Ligresti, si è vista consegnare oltre i tempi supplementari. E di chi è il merito? Innanzitutto della straordinaria, come vogliamo chiamarla: abnegazione? amicizia? vicinanza?, dei rappresentanti del Pd, di Forza Italia e del Ncd (sta per Nuovo centrodestra), capeggiati da Piero Aiello (gruppo Angelino Alfano), un campione delle preferenze nella sua natia Calabria incidentalmente incappato alcune settimane fa in una inchiesta della direzione distrettuale antimafia che lo ha incriminato per voto di scambio richiedendo per lui addirittura e per ben due volte l’arresto (ambedue le richieste sono state però rigettate).
Il gruppo si è battuto testardamente contro il principio di gravità e la stessa lingua italiana insistendo nella considerazione che un decreto, emanato per motivi d’urgenza, potesse ospitare una proroga di norme oramai afflitte dalla vecchiaia e sepolte dall’inerzia. L’emendamento sottoposto al presidente della commissione Affari costituzionali, Anna Finocchiaro, alla guida dell’organismo che deve fare osservare le regole, è passato senza un filo di dubbio. E’ perfetto e molto chiaro. Trascriviamo: “Al comma 7 dell’articolo 12 del decreto legge n.83 convertito”… le parole “31 dicembre 2013″ sono sostituite dalle seguenti : “31 dicembre 2016”. E oplà… La commissione, compresa l’urgenza di far felici i costruttori, ha approvato e mandato alla Camera. Che stamane, dopo ampia discussione (due giorni) certamente confermerà il sì.
L’urgenza è un concetto ad uso variabile e scorrendo gli articoli del decreto legge (è il numero 150) si ha ampia prova che la lingua italiana è una costruzione progressiva di orientamenti eventuali. Un’urgenza tira l’altra, e quest’ultima proroga annuncia già la prossima. Se gli amici non dovessero farcela per il 2016 ci sarà modo di sostituire la parola e con un emendamentino aggiungere: “31 dicembre 2021”.
di Antonello Caporale
Il Fatto Quotidiano 06.02.2014