“Corruzione di un senatore, finanziamento illecito ai partiti, frode fiscale, prostituzione minorile, concussione aggravata, rivelazione di segreto d’ufficio: questi sono soltanto alcuni dei capi d’imputazione dei processi pendenti nei confronti di Silvio Berlusconi. In gioco però c’è soprattutto la richiesta della pena accessoria di interdizione perpetua dai pubblici uffici prevista dall’art. 28 del codice penale che priva del diritto di elettorato e di eleggibilità nel caso di condanna. Va peraltro ricordato che la Giunta delle Elezioni della Camera ha ritenuto in passato (caso Dell’Utri, 2 dicembre 1999) che la pena dell’interdizione, quando temporanea, non comporta l’automatica decadenza del mandato parlamentare. Resta in ogni caso il fatto che sarà sempre la Giunta a doversi pronunciare sulla sopravvenuta ineleggibilità conseguente alla pena accessoria.
Berlusconi ed il Pdl reagiranno in questo caso con la solita trita accusa di persecuzione giudiziaria, tentando in tal modo di delegittimare, anche attraverso il ricorso alla piazza, le decisioni di un potere – quale quello giudiziario – indipendente e separato dal legislativo e dall’esecutivo. Indipendenza difficilmente garantita, se alla recente manifestazione di Brescia ha partecipato addirittura il Vice Presidente del Consiglio Alfano. Il messaggio è chiaro: se la magistratura condannerà Berlusconi, questi farà cadere il Governo. L’attuale Governo si regge dunque su un ricattoc: la neutralizzazione del potere giudiziario in cambio del sostegno all’esecutivo. Fatto unico, crediamo, in Europa. Certo, la magistratura andrà avanti coraggiosamente per la sua strada, così come ci auguriamo vada avanti sino in fondo sullo scandalo del Monte dei Paschi contro il silenzio assordante imposto dal Pd.
Ma concentriamoci qui sul caso Berlusconi. C’è un’altra via percorribile rispetto a quella giudiziaria, che non consente a Berlusconi di gridare alla persecuzione dei giudici. Una via schiettamente politica. Esiste una legge, la n. 361/1957, che prevede l’ineleggibilitàper coloro che in proprio o in qualità di rappresentanti legali di società o di imprese private risultino vincolati con lo Stato per contratti di opere o di somministrazioni, oppure per concessioni o autorizzazioni amministrative di notevole entità economica. Silvio Berlusconi è dunque eleggibile?
La Giunta delle Elezioni della Camera dei Deputati, per ben tre volte (seduta 20 luglio 1994, seduta 17 ottobre 1996, seduta 18 aprile 2002) è stata chiamata a verificare l’applicabilità della disposizione al “caso” Berlusconi. C’è un dato di fatto: la Giunta ha sempre interpretato la disposizione in questione ritenendo che la locuzione “coloro che in proprio” dovesse significare “coloro che in nome proprio”. Così si è semplicemente aggirata la questione: nessun contratto con lo Stato in nome proprio, nessuna ineleggibilità. Vi sono, però, alcune considerazioni da fare. Vero è che, secondo la Costituzione (articolo 66), «ciascuna Camera giudica dei titoli di ammissione dei suoi componenti e delle cause sopraggiunte di ineleggibilità e di incompatibilità». Sempre secondo la Costituzione, però, è la legge che «determina i casi di ineleggibilità e di incompatibilità con l’ufficio di deputato o di senatore» (articolo 65).
Qui si apre il primo problema: gli eletti devono giudicare della loro stessa eventuale ineleggibilità. Il circolo vizioso è antico: Chi custodirà i custodi? Forse, però, si può ragionare a partire da un’altra considerazione. La Giunta è espressione degli equilibri politici presenti in Parlamento: essa è, cioè, un organo politico, sebbene dotato di competenze tecnico-giuridiche. Cosa significa? Che, pur attraverso decisioni politiche, la Giunta è obbligata ad applicare la legge. Dovremmo, allora, chiederci se l’interpretazione sinora invalsa della disposizione della legge 361/1957 sia un’interpretazione corretta. Intendiamo dire che non ogni interpretazione vale l’altra: vi sono, in altri termini, casi in cui l’interpretazione data a una legge è palesemente “arbitraria” o “ingiusta” o “irragionevole”.
Più autori si sono espressi a questo proposito, rilevando le contraddizioni dell’interpretazione restrittiva data dalla Giunta. Ma non solo. Quando si è trattato di interpretare disposizioni pressoché identiche ma riferite non ai parlamentari, ma ai membri dei Consigli regionali o locali, la giurisprudenza si è costantemente espressa nel senso opposto alla Giunta delle Elezioni. Si è, ad esempio, riconosciuta l’ineleggibilità dei dirigenti di S.p.a. con quote di maggioranza possedute dalla Regione o dei dirigenti di S.p.a. con capitale superiore al 50% del Comune o della Provincia (cfr. anche Cass., 20 Maggio 2006, n. 11893). Ossia: nessuna interpretazione “restrittiva” o “letterale” ma, piuttosto, un’interpretazione estensiva, che risponda alla ratio della norma, vale a dire ai fini che essa vuole perseguire, ai rischi che vuole evitare.
Ma vi è di più. La Cassazione ha riconosciuto come l’art. 63, comma primo, n. 2, del D.Lgs. n. 267 del 2000 (che prevede che non può ricoprire la carica di Sindaco colui il quale, come “titolare, amministratore, dipendente con poteri di rappresentanza o coordinamento” “ha parte“, “direttamente o indirettamente“, in appalti nell’interesse del Comune), risponda alla ratio di colpire quanti, per la loro posizione, versino in una situazione di potenziale conflitto di interessi con l’ente (Cass. civ. Sez. I, 08-08-2003, n. 11959). La Suprema Corte ha aggiunto che il conflitto di interessi con l’ente è sempre presente ogni qualvolta si accerti che, secondo le circostanze del caso concreto, l’eletto è portatore di un interesse economico “particolare”, suscettibile di entrare in conflitto con l’interesse dell’ente medesimo.
È evidente come la ratio della disposizione sopra richiamata e di quella prevista dalla legge del 1957 sia identica. Non esiste alcuna ragione per interpretare in un modo l’ineleggibilità con riferimento alle cariche degli enti territoriali minori (Regione, Provincia, Comune) e in un altro l’ineleggibilità a membro del Parlamento. Se la Giunta ha, sinora, rifiutato l’interpretazione consolidatasi nella giurisprudenza, ciò non significa che l’interpretazione della Giunta non possa, in futuro, mutare, adeguandosi e uniformandosi ai princìpi che valgono per gli altri enti pubblici. Non c’è ragionamento di opportunità politica che possa giustificare un’interpretazione distorta, forzata e ingiusta di una legge dello Stato. L’obiezione secondo cui la dichiarata ineleggibilità di Berlusconi metterebbe a rischio la «pacificazione nazionale» (Schifani) non è che la prova che questo Governo si regge sul ricatto di un uomo e del suo partito. Forse una legge dello Stato dovrebbe valere per tutti, ma non per Berlusconi? O forse, essendo del 1957, è una legge “desueta”, per qualcuno? Desueta non più, certamente, del reato di vilipendio previsto dall’art. 278 c.p. che sta funzionando come strumento contro il M5S, una norma del codice penale fascista che viene utilizzata per reprimere la rete e di cui prossimamente i nostri portavoce chiederanno l’abrogazione.
È il momento di proporre con decisione la questione alla Giunta delle Elezioni. E sarà il MoVimento 5 Stelle l’unica forza che potrà sostenere la linea della legalità, del rispetto della legge, contro ogni ricatto o gioco di bassa politica. Al Senato, nella Giunta delle Elezioni e delle Immunità Parlamentari, il M5S può contare su quattro esponenti (Crimi, Fuksia, Giarrusso, Bucarella). Alla Camera un deputato del M5S, Giuseppe D’Ambrosio, presiede la Giunta delle Elezioni, nella quale sono presenti altri deputati del MoVimento (Crippa, Dadone, Mucci, Sarti). Questa sarà una battaglia che il M5S dovrà affrontare con decisione e coraggio: dimostrare che non c’è compromesso politico possibile contro la legalità e il rispetto della legge. Dimostrare al Governo del ricatto che nel nostro Paese è ancora possibile il Governo delle leggi.” Paolo Becchi