Martedì la Cassazione ha cassato senza rinvio le condanne dell’ex sondaggista berlusconiano Luigi Crespi, che in appello si era buscato 6 anni e 9 mesi per la bancarotta e i falsi in bilancio dell’Hdc. Motivo: la legge Renzi sul falso in bilancio, orgoglio e vanto dell’Anticorruzione approvata dal Parlamento il 21 maggio ed entrata in vigore lunedì, è “più favorevole” della precedente, quindi si applica ai processi in corso e li manda in fumo. Traduzione: Renzi è riuscito nell’ardua impresa di peggiorare addirittura la legge scritta da Niccolò Ghedini e imposta dal governo Berlusconi nel 2002, mandando impuniti persino quei pochi che finora si riusciva a condannare. Il Fatto, insieme a Luigi Ferrarella del Corriere, l’aveva scritto in tempo utile, ben prima che la riforma fosse approvata, sempre nella pia illusione che Renzi volesse davvero fare ciò che diceva: rendere di nuovo punibili i reati societari e contabili depenalizzati di fatto dal Caimano. E che i buchi che costellavano la nuova norma fossero frutto di errori o sviste facilmente correggibili.
Naturalmente non era così, infatti il nostro allarme fu bellamente ignorato e la norma passò com’era: traforata e dunque inutile, anzi dannosa. Bella a vedersi, ben titolata, sontuosamente confezionata e infiocchettata: poi uno apre e non c’è niente, o addirittura c’è qualcosa di peggio di ciò che si diceva di voler migliorare. Come nelle vecchie truffe agli autogrill: una scatola con la foto e le istruzioni dell’impianto wi-fi e dentro due mattoni. La legge Severino doveva alzare le pene per concussione e corruzione, poi si scoprì che una clausoletta scritta in piccolo mandava salvi i concussori per induzione (quelli che non impugnano le armi, cioè quasi tutti). La legge sul voto di scambio doveva sanzionare più duramente chi contratta voti mafiosi in cambio di favori, poi si scoprì che il reato non c’è se manca la prova che il mafioso ha avvertito il politico che gli avrebbe procurato le preferenze con i suoi tipici metodi intimidatori: cioè non c’è mai. L’autoriciclaggio doveva incastrare chi ripulisce da sé il bottino dei suoi stessi reati, poi si scoprì che il delitto non scatta se uno lo fa per godimento personale: cioè non scatta mai.
Il decreto sui reati fiscali doveva bastonare evasori e frodatori, poi si scoprì che questi rischiano qualcosa solo se evadono e frodano più del 10% del fatturato dichiarato: cioè non rischiano niente. È la versione renziana 2.0 del vecchio adagio “fatta la legge, trovato l’inganno”.
Qui l’inganno è già nella legge, per neutralizzarne di nascosto gli effetti annunciati. Il veleno con dentro l’antidoto. Le manette con appesa la chiave. L’ordine di arresto con allegata la lima per segare le sbarre e la corda per svignarsela. L’inganno del nuovo falso in bilancio (votato da tutti i partiti tranne due: FI che non aveva capito niente e M5S che aveva capito tutto) è presto spiegato: le pene, sulla carta, vanno fino a 8 anni (le più severe d’Europa, meno soltanto degli Usa), ma in pratica non vi incapperà quasi nessuno, a causa di un buco gigantesco e doloso nella legge Renzi-Orlando: quello che cancella dalla Berlusconi-Ghedini quattro parole chiave: “ancorché oggetto di valutazioni”. Se finora era punibile almeno chi sopravvalutava beni materiali, immobili, magazzini, ammortamenti, crediti, gonfiandone il valore con stime sballate oltre la soglia del 10%, d’ora in poi non lo sarà più, grazie alla scomparsa di quelle quattro paroline per effetto di un emendamento del governo e beotamente approvato dal Parlamento.
Il 19 marzo, sul Fatto, Bruno Tinti aveva spiegato l’inghippo: “Una ditta d’abbigliamento necessita di finanziamenti; le banche sono restie, il bilancio è in perdita. L’amministratore decide di falsificarlo: ‘lavoriamo’ sul magazzino, 10.000 minigonne del valore di 200 euro l’una, 2 milioni. ‘Per arrivare al pareggio mi serve 1 milione; quindi basta scrivere che in magazzino ci sono 15.000 minigonne, 3 milioni, e il gioco è fatto’. Il consulente: ‘Guarda che in questo modo, se ti beccano, finisci nel penale; hanno abolito le soglie di punibilità e la querela, un processo non te lo toglie nessuno’. ‘Sì, ma quel milione mi serve’. ‘Niente paura, scrivi che in magazzino ci sono 10.000 minigonne, di’ la verità’. ‘Ma così il bilancio chiude in perdita’. ‘No, se dici che ogni minigonna vale 300 euro; fa comunque 1 milione in più’. ‘Ma sempre falso in bilancio è’. ‘No, perché fai una valutazione e la nuova legge punisce solo chi espone fatti materiali non rispondenti al vero: le valutazioni non sono fatti’. ‘Beh, se non è zuppa è pan bagnato, chi ci casca?’. ‘Tutti.
Il progetto di legge diceva che il falso in bilancio si commetteva se si esponevano informazioni non rispondenti al vero. Informazioni, dunque fatti materiali e valutazioni. L’emendamento ha sostituito informazioni con fatti materiali: le valutazioni non ci sono più. Vai tranquillo’. ‘Ma è una pacchia’…”.
Il governo e la maggioranza avevano due mesi di tempo per riempire il buco, ma non l’hanno fatto. Dunque, siccome li avevamo avvertiti (noi e il Corriere, noti gufi), dobbiamo dedurne che l’hanno fatto apposta per garantire una sicura scappatoia a chi vuole truccare i conti e farla franca. Cultura del sospetto? Lo vedremo subito. Ora che ai gufi s’è iscritta anche la Cassazione, Renzi può rimetter mano alla norma e rattoppare il buco, magari per decreto, e poi smascherare l’autore e i mandanti dell’emendamento criminogeno: nel qual caso, gli chiederemo scusa per aver pensato troppo male di lui. Se però non lo farà, sarà lui che dovrà chiedere scusa ai cittadini onesti, per averli truffati un’altra volta. E confessare che la famosa rottamazione altro non è se non il completamento con altri mezzi dell’opera lasciata a metà da Berlusconi. Il famoso Piano B.
Marco Travaglio
Il Fatto Quotidiano 18.06.2015