Questo post ha bisogno di una fondamentale premessa, perché già me li immagino, i feroci commenti con accuse di grillismo o paragrillismo. Ebbene, le mie idee politiche (strano ma vero: anche i giornalisti ne hanno) non sono così distanti da quelle di Matteo Renzi. Eppure, nonostante ciò, quello a cui ho assistito questo pomeriggio in televisione mi ha lasciato esterrefatto.
Il presidente del Consiglio, campione mondiale di caccia al consenso e volto ultrapop della politica italiana, era ospite di Barbara D’Urso a Domenica Live, per una lunga (anche se infarcita di interruzioni pubblicitarie) intervista. Una chiacchierata persino troppo informale, con Nostra Signora delle Faccette che ha sempre usato il “tu” con disinvoltura, di fronte a un Renzi compiaciuto, divertito, a suo agio sulla comodissima poltrona di Canale5. Di Barbara D’Urso si è detto e scritto tanto, forse troppo. Di sicuro ha un indiscutibile successo, i suoi programmi vanno bene, il pubblico televisivo di massa la apprezza: e questi sono fatti incontrovertibili con cui dobbiamo fare i conti. Sulla scarsissima qualità dei suoi programmi è persino inutile spendere anche una sola parola in più.
La “colpa”, infatti, non è sua. Non bisogna compiere l’errore di prendersela esclusivamente con lei. La responsabilità vera è di chi, politici in testa, fanno a gara per sedersi su quella poltrona, tra luci innaturali e faccette di circostanza, legittimando come interlocutore credibile una persona che in qualsiasi altro posto del mondo verrebbe considerata esclusivamente per quello che è: una conduttrice popolare che fa programmi discutibili per un pubblico numeroso ma altrettanto discutibile, che ricerca sul piccolo schermo l’evasione più vuota e priva di senso che si possa immaginare.
Anche oggi, dunque, la D’Urso ha fatto il suo sporco lavoro (“qualcuno deve pur farlo”, in fondo), e lo ha fatto egregiamente, dal suo punto di vista. Decisamente meno comprensibile, invece, l’atteggiamento del presidente del Consiglio, che sull’altare della caccia al consenso (portata avanti con successo innegabile) ha sacrificato un altro pezzetto di credibilità politica e di serietà istituzionale.
L’intervista, giornalisticamente parlando, è stata imbarazzante. “Ma Barbara D’Urso non è mica una giornalista”, risponderà qualche zelante lettore. Appunto, rispondo io. Proprio perché non lo è, il premier di un paese in difficoltà che ha bisogno di spiegare ai cittadini le ricette contenute nell’ultima legge di stabilità, non sceglie un suo programma come vetrina credibile e adatta all’uso.
Ma forse sono io a essere un po’ troppo tradizionale dal punto di vista giornalistico. Forse sono solo io a sconvolgermi per un abuso del “tu” che fa male a chi ha a cuore la serietà di un mestiere alla ricerca dell’identità perduta.
Forse ha ragione Renzi, che ha potuto sgranare il rosario delle sue ricette miracolose (e in fondo tutti, ma proprio tutti, speriamo che lo siano sul serio) senza un vero contraddittorio, interrotto ogni tanto solo da frasette insulse come “Matteo, la gente ha paura”, “Matteo, i figli non si fanno perché non ci sono i soldi”, “Matteo, Oprah ti ha dedicato un tweet, domani dovrò farlo anche io?”, e da quintalate di pubblicità.
Eppure, nonostante l’imbarazzante quadro di insieme di questo caldo pomeriggio d’autunno, alcune cose qua e là sono degne di note, anche se più dal punto di vista comunicativo. A un certo punto, infatti, Renzi ha così risposto alla D’Urso che lo incalzava sui tempi di realizzazione di alcune riforme importanti (diritti civili e ius soli, per esempio): “Se fossi da solo a decidere lo farei anche domani, ma c’è il Parlamento…”. Vi ricorda qualcuno? A me sì, ma lasciamo perdere. Sarà una coincidenza.
Verso la fine, poi, il vero capolavoro: il compleanno della novantaquattrenne nonna Maria, disertato proprio per essere presente in studio a Domenica Live. Nonna Maria, Mamma Rosa. Altre inquietanti somiglianze. Altre coincidenze, senza dubbio.
Il dato che mi preoccupa di questa pseudointervista è l’evidente clima da volemose bene, da blocco politicamente e culturalmente distinto che Matteo Renzi sta riuscendo a costruire in questo paese. E anche sui social network, nuovi salotti buoni di parte dell’intelligencia progressista di questo paese, c’era chi si ergeva a difesa della scelta di Renzi di essere lì, ospite della D’Urso. In parte erano gli stessi che criticavano ferocemente Berlusconi per lo stesso motivo, e questo è un dato molto indicativo sul clima a senso unico che si sta creando attorno alla figura di Matteo Renzi. Il suo governo, come quello di chiunque altro, va giudicato sui fatti e senza pregiudizi di sorta, positivi o negativi che siano. Ma permettetemi, in questo caldo tardo pomeriggio di ottobre, di essere un po’ preoccupato. Perché una delle frasi più nota del Gattopardo di Tomasi di Lampedusa sarà anche troppo abusata, ma continua a essere perfetta per tutte le stagioni di questo paese: “Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi. Mi sono spiegato?”. Tancredi si era spiegato benissimo. Forse siamo noi che non abbiamo capito.
di Domenico Naso
Il Fatto Quotidiano 19.10.2014