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Vietato disobbedire a Renzi: il Pd sarà una caserma

renzi_panettoneRICCHIUTI, CASSON E MINEO NON HANNO VOTATO E “SONO UN PROBLEMA”. IL VICE SEGRETARIO GUERINI: “NON SI STA COSÌ IN UNA COMUNITÀ POLITICA”.

Sono un problema”. Così Matteo Renzi ieri mattina, dopo la segreteria, commentava le gesta dei tre dissidenti (civatiani o giù di lì), che mercoledì notte sono usciti dall’Aula del Senato e non hanno votato la fiducia. Ovvero Corradino Mineo, Felice Casson e Lucrezia Ricchiuti. Parole d’elogio, invece, per Walter Tocci, che ha detto sì, annunciando però l’intenzione di dimettersi da Palazzo Madama. Ecco Renzi: “Farò di tutto perché continui a fare il senatore. Ha espresso le sue posizioni ma poi ha accettato la linea del partito. La sua intelligenza, la sua competenza e la sua passione sono necessarie al Pd. Proverò a convincerlo e dirò che le dimissioni sarebbero un errore”.
 GIÀ COSÌ la dichiarazione d’intenti del segretario-premier è chiara: ci sono i dissidenti duri e puri che vanno elogiati. Ma soprattutto messi a confronto con quegli altri, quelli che in fondo se se ne vanno è meglio. E se no? Il partito prende provvedimenti? E quali? Una dichiarazione del vice segretario, Lorenzo Guerini scatena il panico e le pronte ribellioni: “Sono fuori dal Pd? No ma non partecipare a un voto di fiducia che politicamente è molto significativo mette in discussione i vincoli di relazione con la comunità politica di appartenenza. Ne discuteremo pacatamente e serenamente”. E allora, che fanno, li cacciano? Nessuna intenzione. Perché cacciarli vorrebbe dire fare dei martiri, dei miti. Non solo. In arrivo c’è un calendario tutt’altro che facile: il Jobs act, che il premier vuole approvare alla Camera entro metà novembre. E poi, lo Sblocca Italia atteso
la prossima settimana nell’aula di Montecitorio. Con Pippo Civati sul piede di guerra: “Ci sono dentro delle cose terribili”. Poi c’è l’Italicum è impantanato, senza nessuna calendarizzazione in Senato. Senza contare che adesso si apre tutta la questione manovra. Ma allora, si può tollerare in un partito che ognuno faccia come gli pare? Ovvero, che si possa non votare la fiducia a un governo del Pd? Ovviamente no. “Dobbiamo stabilire delle regole e farle rispettare. In maniera che ognuno sappia cosa si può fare e cosa no”, spiega il Presidente dem, Matteo Orfini. Niente sgarri, insomma. Ed ecco che allora i dissidenti diventano un’occasione per il premier per blindarsi ulteriormente. E per stabilire per regolamento che nessuno può disobbedirgli. Se per caso ce ne fosse bisogno, visto che a uno a uno piega tutti quelli che si mettono sulla sua strada. Il 20 ci sarà una direzione sulla forma partito. Lì l’argomento dissidenza sarà affrontato. Ma le regole saranno decise anche dai gruppi.
 PER ORA nessuna espulsione, dunque, ma molta insofferenza. Se Tocci viene considerato “uno che sa come si sta in un partito” (parola di David Ermini, renzianissimo responsabile Giustizia), nei confronti di Mineo i commenti sono malevoli: “Non ha
votato la riforma costituzionale, non ha votato il jobs act. Dice di non voler votare la legge elettorale. Forse dovrebbe riflettere lui perché sta nel Pd”. Lui, poi, ammette: “Ha vinto Renzi, il Parlamento non conta più”. E Casson? Vuole fare il sindaco di Venezia, chissà se il premier lo ostacolerà. Poi c’è l’altra minoranza, quella di ascendenza bersaniana e dalemiana, che di fronte alla fiducia aveva annunciato un sì inevitabile in anticipo. Se loro votano e gli altri no, che figura ci fanno? Adesso, Fassina in testa, hanno cominciato a prefigurare un no alla Camera sul jobs act, fiducia o meno. “Se non cambia, dico no”. Il premier ha già fatto sapere che non ha intenzione di rimetterci mano. Peraltro, trattandosi di una delega talmente ampia da essere in bianco, più che a Montecitorio sarà a Palazzo Chigi che si faranno le modifiche sostanziali. E allora, per la minoranza il fronte diventa anche la manifestazione di San Giovanni. In molti andranno in piazza il 25 ottobre. Ospiti graditi? Il segretario della Fiom Emilia-Romagna avverte: “Chi ha votato la fiducia sul Jobs Act non è il benvenuto”. Ora che ha vinto il premier vuole stravincere: nel week end si lavora alla Leopolda, la kermesse che dovrà serrare i ranghi e cercare di recuperare anche i renziani delusi. E poi, soprattutto, c’è l’Europa: con quel 3% apparentemente non sfondabile. Apparentemente. Perché le critiche nei confronti di questo vincolo sono sempre più pressanti. Perché poi se politicamente schiaccia gli avversari, ora è atteso alla prova dei fatti. Economici prima di tutto.

di Wanda Marra
Il Fatto Quotidiano 10.10.2014

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