La nuova norma preparata dal ministero della Giustizia e anticipata da alcuni quotidiani. Punibile solo chi reinveste in “attività economico-finanziarie” i profitti di reati con pena massima di almeno cinque anni di reclusione. Esclusi i casi in cui il denaro è impiegato per il “godimento personale”, per esempio l’acquisto di case e auto di lusso. Pronto anche il nuovo falso in bilancio, ma con sostanziosi alleggerimenti per le società non quotate in Borsa.
E adesso arriva l’autoriclaggio soft. Quasi un mese dopo la presentazione del pacchetto giustizia nel consiglio dei ministri, diversi quotidiani anticipano l’atteso testo sull’introduzione del nuovo reato, che punisce chi reimpiega in attività economiche i profitti di un reato che lui stesso ha commesso (oggi il codice penale punisce solo che ricicla soldi altrui). Ma, appunto, il risultato della consueta mediazione con Ncd e Forza Italia è una norma più morbida del previsto. E’ pronto un altro testo molto atteso, quello sul falso in bilancio, anche questo però edulcorato e ispirato a grande cautela.
Il testo uscito dal ministero della Giustizia – solo pochi giorni fa il titolare Andrea Orlando smentiva “marce indietro” sul tema – stabilisce che possa essere accusato di autoriciclaggio solo chi investe soldi provenienti da reati che prevedono una pena massima di almeno cinque anni di reclusione. Di conseguenza, non saranno chiamati a rispondere, se il testo dovesse diventare legge, per esempio i colpevoli di truffa, appropriazione indebita, infedele o omessa dichiarazione dei redditi.
Sono state recepite, insomma, le istanze di chi – non solo dal mondo politico – temeva che il reato di autoriciclaggio potesse diventare una sorta di “seconda punizione” per reati “diffusi” tra imprenditori e colletti bianchi, non necessariamente legati alla criminalità organizzata. A sollevare la questione, tra gli altri, era stato proprio un magistrato, il procuratore aggiunto di Roma Nello Rossi, responsabile del pool per i reati economico finanziari, intervistato da Il Sole 24 Ore, che aveva paventato il pericolo che “il self laundering diventi il corollario di ogni reato economico”.
Ma non tutte le toghe la pensano allo stesso modo, anzi. Il testo uscito dagli uffici del ministro Orlando di fatto affossa quello studiato per mesi da Francesco Greco, omologo di Rossi alla Procura di Milano, nonché a suo tempo membro del pool Mani pulite. Nel suo testo acquisito dalla Commissione finanze della Camera, il limite dei cinque anni non c’è. Per di più, secondo i retroscena politici, i berluconiani avrebbero premuto su Orlando perché anche l’autoriciclaggio dacorruzione restasse escluso dalla punibilità. Secondo il Corriere della Sera, anche “i tecnici del ministero dello sviluppo economico” avrebbero costribuito ad ammorbidire il testo. Cala anche la pena prevista, da due a otto anni di reclusione (e una multa da 5 a 25mila euro), mentre l’ipotesi inizale fissava un minimo di tre anni.
Nell’autoriclaggio soft entra anche un’altra limitazione richiesta nelle ultime settimane dai critici del provvedimento. La punibilità riguarda solo il reimpiego di “denaro o altre utilità” in “attività economico-finanziarie“, “in modo da ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa”. E non i fondi destinati a “all’utilizzazione e al godimento personale“. In altre parole, chi per esempio utilizza i proventi di una tangente per comprare una villa o un’auto di lusso non incorre nel reato, perché, così come è concepita, la legga va a punire l’inquinamento dell’economia sana, quindi per esempio l’apertura di un ristorante o l’acquisto di una quota societaria. Dal punto di vista pratico, però, c’è chi teme che una distinzione del genere possa diventare oggetto di complicate disquisizioni in tribunale, rendendo più difficile l’applicazione della legge.
Per quanto riguarda il falso in bilancio, da un lato il testo del governo reintroduce la procedibilità d’ufficio eliminata dal governo Berlusconi nel 2001 con la madre di tutte le leggi ad personam. Ma restano “salvate” le imprese non quotate in Borsa: anche qui vince il principio di lasciare tranquilla la vasta area grigia dell’economia nostrana. Per queste ultime, per avviare un’indagine serve una querela da parte “della società, dei soci e dei creditori”. Per le società quotate le pene vanno dai due ai sei anni , per le quotate da tre a otto. Ma c’è un’altra rilevante eccezione per i (relativamente) piccoli: se l’entità del falso in bilancio non supera il 5% dell’utile o non comporta una variazione di patrimonio netto superiore all’1%, la punibiità è del tutto esclusa.
Redazione
Il Fatto Quotidiano 24.09.2014