GARANZIE AI SENATORI, I RELATORI A PALAZZO MADAMA FINOCCHIARO E CALDEROLI ACCUSANO IL MINISTRO: “NON È VERO CHE NON SAPEVA NIENTE, HA VISTATO IL TESTO DUE VOLTE”.
E ALLORA? Allora, la realtà è tutto sommato semplice. Da un certo punto in poi tra Palazzo Chigi e la Prima Commissione del Senato, soprattutto con i relatori, Finocchiaro e Calderoli, è iniziata una collaborazione strettissima. Mentre Renzi e Boschi stringevano l’accordo politico con Berlusconi e Verdini, gli altri due lavoravano a “riempire” la riforma (parola della presidente della Commissione). E così arrivavano per il nuovo Senato competenze che non c’erano nel testo originale. E con le competenze pure l’immunità. Obbligata, secondo molti costituzionalisti, per evitare la disparità tra due Camere vere e proprie. Il governo lo sapeva, ha dato il suo assenso? Non una, ma più e più volte, raccontano i senatori coinvolti. Perché la riforma è stata fatta così: bozze successive, presentate al Ministro, che il governo approvava. Già nel vertice di esecutivo e Pd di martedì scorso la questione era sul piatto. “Per due volte – secondo Calderoli – il governo avrebbe vistato gli emendamenti”. Un visto ufficiale: ci sarebbe una mail, mandata ai relatori, in cui si diceva di sì al pacchetto complessivo delle modifiche. Il governo forse l’immunità “non la voleva”, come ha detto la Boschi. Ma di certo, sapeva che ci sarebbe stata. E ancora, chi ha voluto, chi ha inserito la modifica ? A scriverlo materialmente sono stati i due relatori. Ma tutti, da Pd a Fi, a Cinque Stelle, avevano presentato emendamenti in tal senso. Spiega il senatore Pd, membro della Commissione Affari costituzionali, Francesco Russo: “Se il capogruppo al Senato M5s Buccarella assieme a 10 senatori grillini presenta un emendamento per ristabilire l’immunità parlamentare forse significa che non c’è nulla di cui indignarsi. È una garanzia per i deputati ed è normale che esista anche per i senatori”. E ancora: “Tra i firmatari degli emendamenti volti a ristabilire l’immunità c’è anche il nome di Paolo Romani”. Dalle parti di Palazzo Madama sono momenti di panico. “Il Movimento 5 Stelle vuole l’abolizione dell’immunità parlamentare in entrambi i rami del Parlamento. L’emendamento 6.5 a prima firma Fattori e sottoscritto anche da altri nove portavoce al Senato fa parte di una serie di proposte in difesa del ruolo elettivo di Palazzo Madama”: diramano una prima nota i senatori grillini. E per tagliare la testa al toro in un’altra annunciamo un nuovo emendamento con cui si propone che i membri del nuovo Senato eletto dalle Regioni possano contare solo sulla garanzia di non essere perseguiti per le opinioni espresse (la cosiddetta “insindacabilità”), cancellando invece l’immunità per l’arresto e le perquisizioni. Ecco anche l’autodifesa di Romani: “L’immunità la prevedevamo solo per un senato elettivo”.
E ora? Calderoli lancia la sua provocazione: “Togliamola pure alla Camera”. Finocchiaro annuncia un emendamento all’emendamento, per far sì che a decidere sia la Corte.
E il governo? Parla il fedelissimo di Renzi, il senatore Andrea Marcucci: “La riforma del Senato non può essere fermata per l’emendamento che prevede l’immunità. Sul tema è sovrana l’aula, che potrà sostenerlo o votare contro”.
DALLE PARTI di Palazzo Chigi si riflette su come modificarlo, magari restringendo l’immunità ai rappresentanti di Regioni e Comuni solo nell’esercizio delle loro funzioni di senatori e non, per esempio, se accusati di abuso d’ufficio in veste di amministratori. Renzi non parla ufficialmente, ma fa filtrare la sua indifferenza sprezzante: se è un problema, la norma si può eliminare. Per adesso non pare che si vada in quella direzione. Con i costituzionalisti pronti a difendere autonomia dei poteri e uguaglianza delle due Camere. Oggi c’è un altro mini-vertice Boschi-Romani-Verdini e fioccano gli annunci di sub emendamenti. La tela di Penelope delle riforme continua.
Il Fatto Quotidiano 24.06.2014