La conta è incerta, perché a quelli che hanno firmato la sua mozione vanno aggiunti quelli che preferiscono esporsi di meno. Ma si calcola che siano almeno 180 i parlamentari del Pd “vicini a Matteo Renzi”, di cui un centinaio alla Camera.
Bene: per loro ora si avvicina una prova del nove. Forse imbarazzante, sicuramente importante.
Sto parlando del 21 novembre, fra una settimana, quando a Montecitorio verrà messa ai voti la mozione di sfiducia individuale nei confronti del ministro della giustizia Anna Maria Cancellieri, presentata dal Movimento 5 Stelle.
Sì, perchè è facile dire «se fossi stato segretario io non l’avrei difesa», come ha fatto Matteo Renzi. Più difficile è far seguire alle parole le azioni. Più difficile è trasformare la frase detta in un talk show in un voto alla Camera.
Si tratta tuttavia di coerenza: una virtù forse rischiosa sul breve ma che molto restituisce, in termini di reputazione, sul lungo.
Tra l’altro non mi pare che da quella dichiarazione in tivù la posizione di Cancellieri si sia alleggerita, diciamo.
Certo: sappiamo che Renzi non è “proprietario” di quei cento deputati, che in Italia non c’è il vincolo di mandato, eccetera eccetera. Ma sarebbe – appunto – molto coerente se il giorno 20 il buon Matteo qualcosina in più la dicesse, sul voto per mandare a casa il ministro. A noi e soprattutto ai suoi. Limpidamente, in pubblico, con la trasparenza di cui il sindaco vuol essere portatore come valore.
Naturalmente lo stesso discorso vale per Pippo Civati e per i deputati – non molti in verità – che nelle primarie si sono schierati con lui.
Perché sì, è “da questi particolari che si giudica un giocatore”.
di Alessandro Gilioli
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