Informazione News

Il Ponte non c’è, però lo paghi

Ponte_sullo_StrettoGià costata centinaia di milioni ai contribuenti, la ‘grande opera’ sullo Stretto è un buco nero senza fine: adesso lo Stato deve versare alle aziende le pesantissime penali, in base al contratto voluto da Berlusconi.

Il concetto di strage applicato all’economia è un po’ forzato, ma la vicenda del ponte fra Sicilia e continente presenta alcune caratteristiche in comune con la strategia della tensione applicata alle infrastrutture. In primo luogo, non c’è un colpevole certo del disastro dopo oltre 41 anni di tentativi, annunci e rinunce conclusi con la liquidazione della società concessionaria Stretto di Messina (Sdm) firmata dal premier uscente Mario Monti il 15 aprile.In secondo luogo, il contenzioso avviato dai vincitori della gara per il ponte (consorzio Eurolink) si annuncia lungo, dispendioso e variegato, visto che comprende il tribunale ordinario, i tribunali amministrativi, l’Unione europea e i vari lobbisti, avvocati e consulenti che, dietro congruo compenso, si daranno da fare per una transazione monetaria dopo la “caducazione”, come si dice in linguaggio giuridico, del contratto. In questa partita, arrivata all’ennesimo tempo supplementare, si può già indicare chi vince e chi perde.

Lo Stato è sconfitto su tutta la linea. Il decreto legge del novembre 2012, che di fatto ha segnato la fine dell’opera a firma dell’allora ministro delle Infrastrutture, Corrado Passera, ha aperto il vaso di Pandora. A marzo di quest’anno il general contractor Eurolink ha fatto causa, dopo avere sciolto il contratto per inadempienza da parte dello Stato. Nel tentativo di proteggere i suoi 383 milioni di capitale sociale, il governo Letta ha messo la Sdm in liquidazione giudiziaria un mese dopo. La patata bollente è stata affidata a Vincenzo Fortunato, ex capo di gabinetto bipartisan di vari ministri che, a 60 anni, ha trovato il suo personale ponte verso la pensione in uno scenario che replica lungometraggi interminabili, da Fintecna a Federconsorzi.

A vincere, senza se e senza ma, è il consorzio Eurolink guidato con il 45 percento da Impregilo insieme a due imprese italiane (Condotte e la Cmc della Lega cooperative) e due straniere (gli spagnoli di Sacyr e i giapponesi di Ishikawajima Harima). C’è un sesto socio, in verità. Si chiama Argo costruzioni, ha il 2 percento e appartiene a Beniamino Gavio, padrone di Impregilo finché Pietro Salini lo ha spodestato con un takeover avviato l’estate scorsa e concluso con l’Opa due mesi fa. Salini, che pure ha sostenuto finanziariamente la recente campagna elettorale del movimento Scelta Civica di Mario Monti, nonostante la lite sia sorta proprio per opera del governo dei tecnici, intende andare a fondo per recuperare il tesoro del risarcimento dopo avere investito pesantemente nell’Opa.

Ancora più arrabbiati sembrano gli spagnoli, secondi soci di Eurolink con il 18,6 percento, che si sono rivolti alla loro ambasciata. La Sacyr minaccia di portare la lite in Europa e di far raddoppiare le penali rispetto alle richieste, già parecchio onerose, formulate al tribunale italiano.

A guardare le carte, che “l’Espresso” è in grado di anticipare, Eurolink formula tre possibilità ai giudici. Nell’ipotesi di verdetto più favorevole, quella che presuppone la validità del recesso, il general contractor chiede un minimo di 630 milioni di euro, più interessi e danni eventuali. L’ipotesi intermedia (recesso non valido, ma contratto sciolto per colpa dello Stato) vale poco più: 608 milioni di euro, più le spese per la variante di Cannitello, altri 24 milioni di euro. Nell’ipotesi numero tre Eurolink si accontenta, per così dire, che il contratto sia valido, che il ponte vada costruito e che lo Stato mantenga gli impegni sottoscritti da due governi Berlusconi dal 2004 al 2010.

La Sdm si difende come può. Intanto la società pubblica si richiama all’articolo 5.2 dell’accordo con Eurolink, dove l’eventuale indennizzo per la mancata realizzazione del ponte è fissato da una formula bizantina: il 5 per cento dei quattro quinti del valore dell’opera, più le spese sostenute.
Già qui c’è materia per una contesa infinita. Il 5 percento dei quattro quinti vale 160 milioni di euro se si conta il valore del ponte alla firma del contratto, nel marzo 2006 (3,9 miliardi di euro). Ma nel frattempo il valore dell’opera è più che raddoppiato ed è stimato in 8,5 miliardi di euro. Raddoppia anche la penale? Per il momento, la replica della Sdm è minimalista. Per la società pubblica, Eurolink ha diritto soltanto a una trentina di milioni di euro, quelli spesi per la progettazione. Oltre a questo, sarà liberata la fideiussione presentata da Eurolink (circa 150 milioni) a garanzia dell’esecuzione dei lavori.

Il gancio giuridico con cui l’Avvocatura dello Stato cercherà di mettere ko i privati porta, paradossalmente, a una totale sconfessione della struttura finanziaria dell’opera. Il recesso da parte di Eurolink, scrive la Sdm, «viene a snaturare le modalità di finanziamento ispirate ai principi del project financing, ciò in quanto, in caso di mancato reperimento dei previsti capitali privati, la realizzazione dell’Opera avrebbe dovuto essere per intero assicurata con risorse pubbliche».

Mancando i capitali, continua il documento, subentra «il naturale scioglimento del contratto e un indennizzo a favore del Contraente Generale».

In altre parole, lo Stato ha deciso infine di metter per iscritto quello che i critici del ponte sostengono da anni: per il monocampata tra Scilla e Cariddi non esistono finanziamenti al di fuori di quelli pubblici. Il ponte seguirebbe le tracce dell’alta velocità ferroviaria, impostata su un modello 60/40 fra denaro pubblico e privato e realizzata per il 100 per cento a carico dell’Erario. La Tav, peraltro, è un modello che rischia di ripetersi anche in tribunale, dato che la revoca delle concessioni per la Milano-Genova e la Milano-Verona è finita con la vittoria dei general contractor.

Nell’area dello Stretto Impregilo e Condotte, azionisti di Eurolink, hanno altri affari importanti, essendo i contraenti generali degli ultimi due tratti a sud della Salerno-Reggio Calabria. Con il macrolotto 5 hanno incassato un risarcimento da 307 milioni che l’Anas, maggiore azionista della Sdm, ha versato nel 2011. E buona parte del contenzioso colossale dell’Anas (1,5 miliardi di euro) deriva dalla richiesta di Impregilo e Condotte relativa al macrolotto 6, proprio quello che doveva collegare l’autostrada al ponte. Sono partite diverse, ma con gli stessi giocatori e la diplomazia sotterranea delle liti fra Stato e privati si sta già muovendo alla ricerca di una soluzione a pacchetto. Il 30 maggio l’Anas ha approvato una bozza di accordo in cui Impregilo-Condotte rinuncia a 14 sulle 23 riserve per aggiornamento prezzi presentate allo Stato.

Nel frattempo, per quanto inutile o nociva potesse essere l’opera simbolo delle grandi infrastrutture berlusconiane, la “caducazione” dell’appalto è un termine che spaventerà qualunque investitore straniero. Chi volesse investire in Italia ci penserà cento volte, con un precedente come il ponte, dove i politici di destra e sinistra sono stati in costante disaccordo con se stessi ad eccezione – va detto – degli ambientalisti. La loro posizione rimane quella di quando erano in parlamento: nessuna penale è dovuta.

Adesso anche il governo, per necessità di cassa, è d’accordo con loro.

di Gianfrancesco Turano
espresso.repubblica.it

Lascia un commento