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Il papà di Renzi ora rischia anche la truffa

Tiziano Renzi2DOPO L’INCHIESTA CHE LO VEDE INDAGATO PER BANCAROTTA, AVVIATE NUOVE INDAGINI SUL MUTUO INSOLUTO PAGATO DALLO STATO.

Dal papà all’amico. La vicenda del mutuo insoluto della società Chil Post di Tiziano Renzi, rimborsato dallo Stato attraverso presunti illeciti compiuti dal padre del premier, ora coinvolge direttamente la banca che ha ricevuto il versamento. Gli accertamenti degli inquirenti della Procura di Genova, che hanno indagato il padre del premier per bancarotta fraudolenta per il fallimento della Chil Post, e quelli dei dirigenti della finanziaria della Regione Toscana si concentrano sul credito cooperativo di Pontassieve. I primi stanno valutando il possibile reato di truffa ai danni dello Stato, i secondi per approfondire eventuali omissioni e individuare quindi dei possibili responsabili da cui farsi eventualmente rimborsare il danno per i 263 mila euro elargiti da Fidi Toscana, la controllata dalla Regione.
DOPO L’INTERVENTO di due giorni fa del governatore Enrico Rossi, che ha annunciato al Fatto la volontà di approfondire se ci sono state delle responsabilità da parte dei familiari del premier
annunciando le necessarie denuncie agli organi competenti, Fidi Toscana ieri ha avanzato richiesta formale alla banca di Pontassieve a fornire l’intera documentazione relativa al mutuo concesso alla Chil Post. La finanziaria controllata per il 49% dalla Regione, infatti, potrebbe rivalersi sull’istituto di credito: secondo il regolamento sottoscritto al momento della richiesta di garanzia matteo-renzi-madreavanzata dalla madre del premier, Laura Bovoli, e dalle sorelle Benedetta e Matilde, la banca era obbligata a comunicare ogni variazione societaria, così come le titolari. Ma a Fidi Toscana, confermano al Fatto i vertici, il credito di Pontassieve ha comunicato solamente il cambio di nome di società da Chil a Chil Post. Non una riga sulla cessione di beni e servizi per due milioni di euro, quella che i pm di Genova ritengono la parte sana della società, né del cambio di sede e di proprietà. Informazioni fondamentali che, stando a quanto ammette Fidi Toscana, sono state trasmesse solo dopo la dichiarazione di fallimento nel 2011. A guidare la banca oggi è Matteo Spanò, un fedelissimo del Presidente del Consiglio dai tempi della Provincia di Firenze.   Cresciuti insieme negli scout, fin dai lupetti, Spanò guida anche il Museo dei Ragazzi controllato da Palazzo Vecchio, nominato per espresso desiderio di Renzi. Che lo aveva già insediato a capo della Florence Multimedia, società creata ad hoc nel 2004 dal non ancora rottamatore ma giovane presidente della Provincia e poi finita all’attenzione della Corte dei Conti per 9,2 milioni di euro spesi tra il 2006 e il 2009. Tra cui ci sono fatture pagate alla Dotmedia, impresa privata di Spanò. Alla Dotmedia, società che fino al 2012 è stata tra i fornitori del Comune di Firenze, sono finite anche alcune commesse dirette affidate dal Museo dei Ragazzi. Presieduto, come detto, sempre da Spanò. Un dato: Dotmedia è passata da 9 mila euro di fatturazione del 2008 ai 401 mila del 2011. Socio di Spanò era Andrea Conticini allo stesso tempo socio della Eventi 6, la società della famiglia Renzi: amministrata dalle sorelle Matilde e Benedetta, che ne detengono il 36 per cento ciascuna, insieme alla madre, Laura Bovoli, che ha l’8 per cento. Il restante 20 per cento era in mano a Conticini, marito di Matilde. Spanò dunque, è per Renzi un uomo di fiducia e di famiglia.
LA EVENTI 6 però è anche la società a cui la Chil Post cede la parte sana prima di fallire. E su questa si è concentrata l’inchiesta degli inquirenti liguri. Magistrati che, a quanto si apprende, nei mesi scorsi erano già arrivati a individuare il giro di fondi ricevuti da Fidi Toscana e hanno già acquisito la documentazione necessaria attraverso gli uomini della Guardia di Finanza che sequestrarono il materiale presso gli uffici dell’istituto di credito lo scorso settembre. L’ipotesi investigativa a carico di Tiziano Renzi è quella della truffa ai danni dello Stato.

Davide Vecchi
Il Fatto Quotidiano 17.01.2015

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