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Il bassotto Renzie e la corruzione

ddl_bassottiIntervento di Antonio Di Pietro sulle cosiddette “misure anticorruzione”

“La montagna ha partorito il topolino” si dice dalle mia parti. Mi riferisco alla tanto sbandierata nuova legge contro la corruzione emanata proprio ieri sera dal Consiglio dei Ministri per illudere i cittadini che adesso finalmente ci penserà il Governo Renzi a stanare ed assicurare alla giustizia corrotti e corruttori.
Appena ho sentito quest’ennesimo proclama da parte del nostro Presidente del Consiglio, mi son detto: speriamo che non sia l’ennesima sparata a vuoto del solito piazzista Renzi. D’altronde la cloaca corruttiva che sta venendo fuori a Roma dall’inchiesta della magistratura dimostra che – quando si devono fare affari, specie con metodi criminali – non si guarda al colore del partito né all’interesse della collettività ma anzi si specula pure sopra le sofferenze dei più deboli per sgraffignare soldi, poltrone e incarichi. Quindi c’è davvero la necessità e l’urgenza di intervenire con un provvedimento di legge immediatamente operativo, nel senso che già da oggi sarebbe dovuto entrare in funzione.
Ed invece Renzi ancora una volta ha barato, ricorrendo al solito doppio gioco di cui è specialista: agli italiani ha fatto credere di aver approvato un durissimo provvedimento di legge in grado di debellare la corruzione, mentre in realtà ha emanato solo un banalissimo “disegno di legge”, vale a dire solo una proposta da portare in Parlamento (ove già ne giacciono a centinaia in attesa di essere esaminate) su cui ora dovrà iniziare l’ennesima discussione (a base di emendamenti e subemendamenti a favore di questo o quel potente di turno, discussione che va avanti oramai da oltre vent’anni).
Va perciò innanzitutto denunciato con forza la solita furbata “renziana” del ricorso al “disegno di legge” e non al “decreto legge”. Quest’ultimo – in quanto immediatamente operativo – avrebbe messo con le spalle al muro i parlamentari recalcitranti e lui avrebbe potuto chiaramente dire a costoro: “Signori, la cuccagna è finita, o approvate queste leggi o si va tutti a casa”, dando così modo ai cittadini o di avere finalmente una seria legge anticorruzione oppure di tornare a votare per mandare in Parlamento altre persone disponibili a fare ciò che anche questo Parlamento (come tutti quelli precedenti) non ha finora avuto il coraggio di fare e cioè leggi che permettono di fare processi rapidi e mandare davvero in galera i delinquenti.
Ma la cosa che fa più arrabbiare è la pochezza e la superficialità delle nuove norme contenute nel tanto osannato pacchetto anticorruzione approvato ieri sera dal Consiglio dei Ministri.
Certo, è stato previsto l’aumento della pena per il reato di corruzione (aumentando sia la pena minima che quella massima di ulteriori 2 anni con la conseguenza che anche i tempi per dichiarare la prescrizione si allungheranno di un paio d’anni, ma chi frequenta tutti i giorni le aule dei Tribunali sa bene che è solo un pannicello caldo. Due anni in più o due anni in meno per dichiarare la prescrizione – con le limitate risorse umane, finanziarie e logistiche a disposizione dei magistrati – non cambia per nulla la strategia processuale di che intende sfruttare il decorso del tempo per non farsi giudicare e rimanere così impunito.
Ma lo sa Renzi quanti giudici vengono impegnati, quante udienze effettuate e di quanti gradi di giudizio effettivi può usufruire un imputato prima di arrivare ad una sentenza definitiva? Già i primi 3 giudici previsti ufficialmente dal codice penale (Tribunale, Corte di Appello, Corte di Cassazione) sono troppi, ora che è stato instaurato anche in Italia il rito accusatorio. Quindi una prima vera riforma dovrebbe eliminare il doppio giudizio di merito (Tribunale – Corte di Appello) e lasciarne solo uno di merito (Tribunale) ed uno di legittimità (Cassazione). Immaginate quanti giudici, cancellieri, personale giudiziario e tempo disponibile si potrebbe recuperare con questa semplice norma (peraltro presente in tutti i paesi occidentali dove vige il sistema accusatorio).
Vi sono poi (anzi, cronologicamente, prima) altri due giudici che dovranno valutare le prove nei confronti dell’imputato: il Giudice per l’udienza preliminare (GUP) ed il Tribunale della Libertà. E siamo a cinque.
Vi sono infine le mille istanze dilatorie che vengono fatte appositamente per rinviare il processo a data da destinarsi e così arrivare a superare anche quel paio di annetti in più previsti dalla odierna riforma per arrivare all’agognata prescrizione.
Che fare allora? Semplice: basterebbe prevedere che – dopo il decreto di rinvio a giudizio del GUP – la prescrizione si interrompa automaticamente e per sempre. Insomma, se nei confronti di un imputati il primo giudice che deve valutare le prove, le trova degne di verificarle in sede dibattimentale, la soluzione è e deve essere una sola: i processo si deve fare perché lo stato di diritto e il cittadino deve sapere se una persona è colpevole o innocente.
Ben altro si poteva fare ancora (e che il Governo Renzi – per ignoranza o per convenienza non importa – non ha fatto) per rompere il patto sodalizio tra corrotti e corruttori? Semplice, ancora una volta (e noi del Pool Mani Pulite lo stiamo dicendo da almeno 20 anni): bisogna introdurre nel reato di corruzione una specifica postilla per rompere il patto di omertà esistente tra corrotto e corruttore. Fino a quando è previsto che – sia chi prende denaro (il corrotto) sia chi lo versa (il corruttore) – siano ugualmente condannati se scoperti, è ovvio che ognuno cerca di coprire l’altro anche per coprire sé stesso. Se invece si introduce una norma che prevede una specifica causa di non punibilità a chi riferisce alla magistratura il reato commesso dal complice, scatta un clima di diffidenza reciproca fra corrotto e corruttore in quanto nessuno dei due sa più se ha a che fare con un complice o con infiltrato sotto copertura.
E che dire del reato di falso in bilancio, che ancora una volta si sono dimenticati di reinserire nel codice penale anche nel pacchetto di riforme varate ieri? Come si fa a scoprire che fine ha fatto il denaro frutto di corruzione se non si sa da dove proviene?
Infine, un’ultima chicca: ma lo sanno o non lo sanno – Renzi e il Ministro della Giustizia Orlando – che il vero reato che si consuma tra Pubblico ufficiale e privato (imprenditore o cittadino che sia) è quello che una volta si chiamava reato di “concussione per induzione” (reato che si realizza quanto il Pubblico ufficiale, pur senza usare violenza o minaccia, mette in condizione il povero cristo che si deve rivolgere a lui per problemi legati al suo ufficio o funzione a dargli denaro altrimenti quanto meno “la pratica dorme”. Ebbene anche questo reato è stato abolito (con il concorso di destra e sinistra) ed è stato sostituito da un altro che invece prevede la condanna anche di chi deve viene “indotto” a pagare e non solo del pubblico ufficiale che riceve i soldi. A queste condizioni nessuno mai denuncerà i soprusi che subisce, proprio per non fare, alla fine, la figura del “cornuto e mazziato”.
Sì, va beh! mi direte: e quindi che facciamo?
Nessun dialogo con questi voltafaccia. Meglio la rivolta. Civile e non violenta, d’accordo (ci mancherebbe altro) ma dobbiamo passare alla fase operativa, prima che sia tropo tardi.
A tal fine, è necessario e prioritario chiamare il Presidente della Repubblica Napolitano a rispondere nelle sedi opportune del suo operato per aver impedito per ben tre volte, in violazione del dettato costituzionale – di mandare i cittadini a votare, lasciando in Parlamento una classe politica eletta con una legge incostituzionale ed assumendo ruoli e poteri che non gli spettavano”.
Antonio Di Pietro

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