IL PREMIER E POLETTI S’INVENTANO I NUMERI SUL LAVORO, MA LA CRISI NON È FINITA.
I numeri, come i nudi fatti, non significano nulla. Solo il loro inserimento nel contesto, la loro trasformazione in racconto, li rende vivi. Questo, al governo, lo sanno bene: il problema è che il racconto in cui inseriscono quei numeri è falso. Niente di nuovo sotto il sole, per carità, ma nel caso del governo Renzi c’è il sospetto che gli interessati non sappiano nemmeno di mentire. E questo è più preoccupante. Veniamo ai dati di ieri.
I numeri a caso di Renzi sui nuovi posti di lavoro
Il 20 novembre il premier diceva alla radio, con la giusta dose di contrizione, che “in sei anni l’Italia ha perso un milione di posti di lavoro. Negli ultimi sei mesi ne abbiamo recuperati 153.000. Non mi basta”. Ieri, invece, dopo che l’Istat ha certificato che il tasso di disoccupazione a ottobre era al 13,2% – oltre 3,4 milioni di senza lavoro, più della metà da oltre un anno, un dato da dopoguerra nel senso letterale del termine – il nostro ha ostentato ottimismo, cambiando però le cifre: “La disoccupazione ci preoccupa, ma il dato degli occupati sta crescendo: da quando ci siamo noi ci sono 100mila posti di lavoro in più”. Urge dunque chiarire all’ex sindaco di Firenze quanto segue: a ottobre il dato sugli occupati è sceso di 55mila unità (“sostanzialmente stabili su base annua”, chiosa Istat); se proprio vogliamo contarli dal momento in cui si è seduto a palazzo Chigi come se fosse prima e dopo Cristo il dato dice che a febbraio gli occupati erano 22,323 milioni, ieri 22,374 milioni: all’ingrosso fa 51mila in più “da quando ci siamo noi”, né il doppio, né il triplo. Peraltro va sempre ricordato che queste dell’Istat sono stime, molto utili a indicare un trend, ma non certo il Vangelo (per restare in tema) quanto a numeri assoluti: 51mila su 22 milioni e dispari insomma non vuol dire nulla, se non che l’economia italiana è – se va bene – in stagnazione , come d’altronde lasciano pensare anche gli altri indicatori economici. Conclusione: “da quando ci siamo noi”, cioè Renzi, non è cambiato niente.
Crescita zero: un nuovo, tranquillo anno di recessione
Sempre l’Istat ieri ha pubblicato la sua nuova nota mensile sull’andamento dell’economia italiana. Certificato che per i primi nove mesi dell’anno siamo stati in recessione, per il prossimo trimestre (ottobre-dicembre) la previsione è di una crescita zero. Per la precisione “l’intervallo di confidenza ” dell’Istituto di statistica è -0,2/+0,2%. Siamo in stagnazione, appunto. Spiegazione: “Per il 2014 il rallentamento dell’Economia è previsto pari a -0,3%, a sintesi di un contributo negativo della domanda interna, condizionata dalla brusca caduta degli investimenti, e di un modesto aumento del contributo della domanda estera”. Insomma, l’Italia è moribonda e dà blandi segni di vita grazie alle esportazioni. Poi la mazzata finale: “In questo scenario la crescita acquisita per il 2015 è pari a -0,1%”. Cioè l’anno prossimo inizia in salita. Bizzarro che qualcuno ieri sostenesse che questo significhi “che si è arrestata la caduta del Pil”.
Sogni da ministro: l’aumento dei “tempo indeterminato”
Ha sostenuto ieri Giuliano Poletti, ministro del Lavoro, che “da un’anticipazione dei dati forniti dal Sistema Informativo delle Comunicazioni Obbligatorie sull’avviamento di nuovi rapporti di lavoro dipendente e parasubordinato, relativi sempre al terzo trimestre del 2014, emerge che i contratti di lavoro a tempo indeterminato aumentano del 7,1% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente”. Cioè circa 400mila in più: “Questi dati – sostiene il ministero – confermano che il decreto Poletti ha prodotto l’esito che era auspicabile”. Ecco, questa è una bugia. Quell’aumento dei contratti a tempo indeterminato è infatti figlio dell’unico aumento verificatosi quest’anno, quello del primo trimestre, quando il decreto Poletti (emanato a marzo, convertito a maggio) era ancora nei cassetti dell’ex presidente di Legacoop. Al contrario nel secondo e terzo trimestre 2014 i “tempo indeterminato” sono diminuiti rispetto al periodo precedente. Tradotto: l’aumento c’è stato in assoluto rispetto al 2013, ma il decreto Poletti non ha nulla a che fare con questo. In realtà, il racconto montato coi numeri dei contratto è ancora più falso di così: la percentuale di “tempo indeterminato” rispetto al totale dei contratti attivati è scesa quest’anno come continua a fare almeno dall’inizio della crisi. I dati Istat sul terzo trimestre raccontano proprio questo: un aumento dei contratti a termine e persino dei Cocopro, che sembravano sul viale del tramonto. E ancora: “Non si arresta la flessione degli occupati a tempo pieno, che riguarda i dipendenti a ‘tempo indeterminato’ e gli indipendenti”, mentre continua a crescere il “part time involontario”, cioè quello di chi vorrebbe lavorare a tempo pieno, ma non può. Non proprio quel che dice Poletti, ma l’ottimismo, si sa, è il sale della vita.
di Marco Palombi
Il Fatto Quotidiano 29.11.2014