LA LEGGE NE DELIMITA L’USO, MA DA ALITALIA ALLA SPENDING LO USANO PER TUTTO.
Spesso i Radicali o associazioni come l’Uaar (atei, agnostici e razionalisti) si lamentano dell’opacità con cui la Chiesa spende il miliardo di euro che le frutta l’8 per mille: era stato istituito per pagare lo “stipendio” dei preti, ma è un tale fiume di soldi che finisce per servire a molto altro, comprese le milionarie campagne pubblicitarie della Cei quando si avvicinano le dichiarazioni dei redditi. Una chiara violazione del rapporto di fiducia tra il contribuente che fa la donazione e chi quella donazione deve amministrare. Il problema è che lo Stato italiano non ha i requisiti per chiedere il rispetto della norma visto che è il primo a non rispettarla e in maniera assai più radicale dei vescovi: il Fondo dell’8 per mille di competenza statale – 170 milioni circa nel 2013 – è stato infatti sistematicamente svuotato negli ultimi dieci anni per finanziare le spese più varie in aperta violazione della legge.
UNA NORMA del 1985, e le modificazioni successive, stabilisce infatti quali sono le destinazioni possibili per l’8 per mille statale: all’ingrosso i beni culturali (che poi spesso sono chiese e conventi), le calamità naturali, l’assistenza ai rifugiati e interventi contro la fame nel mondo. Da quest’anno – così sancisce il relativo Dpr approvato dal Parlamento la scorsa settimana – si aggiunge anche l’edilizia scolastica. Funziona così: chi ha i requisiti presenta la domanda e poi palazzo Chigi prevede al riparto dei fondi per assicurare i meritori obiettivi di cui sopra. Questo in teoria, perché nella pratica lo stesso governo ha l’abitudine di borseggiare il Fondo dell’8 per mille fino a svuotarlo: nel 2011 e nel 2012, si legge in un dossier predisposto dal Servizio Studi della Camera, “non si è proceduto alla predisposizione del decreto di ripartizione della quota dell’8 per mille dell’Irpef a diretta gestione statale per mancanza di disponibilità finanziaria”. Tradotto: non c’era più un euro. E perché? Sono sempre i tecnici di Montecitorio a spiegarcelo: nel 2011 “l’intero stanziamento, pari a oltre 145 milioni di euro, è stato utilizzato a copertura di interventi legislativi approvati nell’ambito delle manovre di consolidamento dei conti pubblici” (una sorta di spending review alla Tremonti); mentre “la quota per l’anno 2012 è risultata interamente decurtata per effetto di successivi provvedimenti legislativi, per la gran parte legati a esigenze di Protezione civile”. Nel 2013, infine, il capolavoro. I soldi che gli italiani avevano dato allo Stato per le belle cose che sappiamo ammontavano in tutto a 169,899 milioni di euro. Alla fine, a differenza degli anni precedenti, il decreto di riparto del Fondo c’è stato: peccato che dentro ci fossero rimasti solo 404.771 euro, il che ha consentito di dar corso nientemeno che allo 0,1% delle domande presentate. E gli altri 169 milioni e spicci? Ci hanno fatto po’ di tutto: la metà (85 milioni) se li è presi Enrico Letta per la Legge di Stabilità dell’anno scorso; dieci milioni sono finiti a finanziare l’inutile decreto Crescita, cinque milioni sono serviti al Fondo per la Cassa integrazione dei dipendenti Alitalia; 64 milioni alla flotta aerea della Protezione civile; un milione e mezzo per rilanciare l’occupazione giovanile (?); un altro paio di milioni e più a riduzioni di spesa.
ORA IL M5S, che in questo anno e mezzo di legislatura ha sempre seguito la materia, ha presentato una mozione sul tema (ancora non calendarizzata) a prima firma Francesco Cariello, deputato membro della commissione Bilancio. L’idea del Movimento 5 Stelle è impegnare formalmente il governo – con la prossima legge di Stabilità – “a reperire risorse finanziarie destinate al ripristino integrale delle somme dell’8 per mille a gestione statale per l’anno 2014 e i successivi” e “a non utilizzare in futuro” quei soldi per coprire spese non previste dalla legge che regola il Fondo. In realtà, già nel decreto che smistò i 404mila euro dell’anno scorso c’era scritto quanto segue: “C’è la necessità di intervenire al fine di individuare specifiche modalità di reintegrazione delle risorse al fine di contemperare le criticità dovute alla riduzione delle risorse dell’8 per mille a gestione statale con il rispetto delle scelte operate dai contribuenti”. Tradotto: il governo aveva già detto a se stesso che rubare così soldi destinati ad altro è molto brutto, aveva promesso di non farlo più e riconsegnare il maltolto, il Parlamento s’era detto d’accordo e aveva votato. La tentazione, però, è evidentemente troppo forte: facendo dei conti all’ingrosso, ad esempio, dal 2004 – l’anno in cui debutta l’autoborseggio dell’8 per mille – a oggi parliamo di più di un miliardo di euro. E tutti sappiamo quanto fa comodo un miliardo di euro da spendere.
di Marco Palombi
Il Fatto Quotidiano 28.09.2014