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E sotto la camicia? Peones e leader a perdere

TortelliniA BOLOGNA CON IL PRIMO MINISTRO FIGURE DI SECONDO PIANO O CAPI PARTITI IN DISARMO: LA FOTO ECCITA SOLO LA STAMPA ITALIANA.

Se n’è vergognato, l’ha buttata sullo scherzo, ma la battuta giusta l’ha trovata addirittura Gianni Cuperlo (il che, peraltro, è pure una notizia): “Quello che non ho è una camicia bianca”, ha scritto su Facebook citando De André. La nuova sinistra a modino – talmente conservatrice in economia che non ha più nemmeno timore della parola “compagni”, avendo appurato che non significa nulla – è però solo un abbaglio italiano. Forse è colpa del candore del popeline delle cinque camicie sotto le quali, però, non c’è niente: all’estero, come si diceva una volta, giusto qualche citazione in Francia e Spagna, il resto della stampa mondiale non ha voluto nemmeno prendere atto che la nuova mise dell’euro-centro-sinistra è una roba a metà tra la divisa da cameriere (e magari è per evitare equivoci che il premier s’è tenuto lontano da quegli snob di Cernobbio) e quella da aperitivo per avvocati di medio reddito. A parte Matteo Renzi, infatti, che sta a palazzo Chigi e ha pure vinto le Europee, gli altri sono mezze figure o leader a perdere di partiti in disarmo, altro che la “sinistra ganadora” di cui parla Pedro Sànchez (che è bello, sì, più della Merkel, questo s’è capito). Un breve riassunto di chi sono questi nuovi “leader” europei forse aiuterà a chiarire l’equivoco.

 ACHIM POST. Classe 1959, sposato, due figli. Entra nella Spd, i socialdemocratici tedeschi, negli anni 70 attratto da Willy Brandt e da allora ha collezionato una placida carriera da portaborse e funzionario di partito. Alle spalle una discreta storia di insuccessi elettorali, è uno dei vicecapigruppo Spd al Bundestag e segretario del Partito socialista europeo. Nota bene: di quella astrazione inesistente in natura che è il Pse, Post non è il leader politico – che semmai è il presidente, il bulgaro Sergei Stanischev – ma il responsabile organizzativo. Insomma, oltre all’assenza dei laburisti inglesi, la presenza tedesca era di basso livello.

 DIEDERIK SAMSOM. È l’olandese, quello pelato se è permessa la semplificazione (a suo tempo lui ha dichiarato che rimpiange assai i suoi “molti riccioli” dantan). Samsom, classe 1971, sposato (ha ammesso “uno o forse due” tradimenti) e padre di due figli, oggi è sia capogruppo che segretario del partito laburista del suo paese: il PvdA. Con Renzi ha in comune l’amore per le campagne elettorali all’americana (sfortunate, le sue) e l’aver vinto un quiz in tv (uno più difficile della Ruota della Fortuna, però, grazie anche a Q.I. da 136). I laburisti d’Olanda, però, non riconquisteranno il governo, né cambieranno l’Europa: sono un partito in disarmo che alle Europee ha preso il 9%.

MANUEL VALLS. Ha 52 anni, francese da trentadue (suo padre era un pittore catalano, ha la cittadinanza dal 1982), ammiratore di Michel Rocard, socialista parecchio pendente al centro, e ne ha seguito le orme: non è un caso che il pencolante François Hollande ne abbia fatto il suo Primo ministro dopo la disfatta alle amministrative di marzo e il successo del Front National di Marine Le Pen. Valls ha fama di sceriffo, un socialista talmente stinto che il rosa pallido del Psf può ben essere una camicia bianca nel suo caso: a fine agosto s’è perso per strada il ministro dell’Economia, Arnaud Montebourg, dimessosi in polemica con la politica di rigore tedesco nei conti pubblici che il governo Valls ha accettato senza apprezzabili smarcamenti. È con quest’uomo che Renzi farà cambiare verso all’Europa: il tracollo dei socialisti francesi risolverà l’equivoco in ogni caso.

 PEDRO SÀNCHEZ. Il più atteso, il più fotografato, le Marie Barbise democratiche se lo sono spupazzato tutto il giorno, anche se non si sa bene chi sia. Economista, 42enne, moglie e due figlie, deputato due volte (ma solo grazie alla rinuncia di qualcun altro), è il successore del dimenticabile Alfredo Pérez Rubalcaba alla guida del Psoe: Sànchez ha vinto le primarie col 49% dei voti e è stato confermato dal congresso di luglio. Per molti è solo il tizio che deve guidare i socialisti – umiliati dal 23% delle Europee, sfidati a sinistra da “Podemos”, confusi sul modo di fare opposizione a Rajoy visto che fa le stesse politiche del loro Zapatero – fino all’avvento di Susana Díaz, regina del partito nella roccaforte andalusa. Di passaggio, forse, ma tanto bello.

di Marco Palombi
Il Fatto Quotidiano 09.09.2014

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