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Il guappo di cartone

Renzi tascaTredici anni fa l’Italia salutava il suo più grande giornalista di sempre: Indro Montanelli. Mentre ancora si discute se fosse di destra o di sinistra, suscitando – da qualche parte Lassù – le sue sonore risate, si dimentica la sua maggior virtù, oltre alla prosa e alla libertà: avendo studiato e narrato la storia d’Italia, Montanelli conosceva e raccontava gli italiani come nessun altro. E, quando giudicava un politico, si metteva nei panni della gente per studiare come lo guardava. Berlusconi gli stava simpatico. Ma ciò che subito lo allarmò, non appena nell’estate ‘93 quello gli preannunciò la sua “discesa in campo”, fu la miscela esplosiva che sarebbe nata fra i tratti caratteriali del suo ex editore e la voglia di padrone che alberga nella pancia di una certa Italia. Quella che aveva fatto dire a un altro rabdomante, Mussolini: “Come si fa a non diventare padroni in un paese di servi?”. Fra il Duce e il Cavaliere ci fu un altro politico italiano che provò a diventare padrone, e per un po’ ci riuscì: Craxi. Nel 1983, quando andò al governo, Montanelli sul Giornale lo salutò così: “Come uomo di partito, Craxi ha certamente grossi numeri. Come uomo di Stato, è tutto da scoprire… È arrogante, un po’ guappesco e sembra avere del potere un concetto alquanto padronale… Craxi ha una spiccata – e funesta – propensione a considerare nemici tutti silvio-berlusconi-bettino-craxicoloro che non si rassegnano a fargli da servitori. Sono pochi, intendiamoci, i politici immuni da questo vizio. Ma alcuni sanno almeno mascherarlo. Craxi è di quelli che l’ostentano sino a esporsi all’accusa di ‘culto della personalità’… che potrebbe procurargli guai seri. Non perché a noi italiani certi atteggiamenti dispiacciano, anzi. Ma perché in fatto di guappi siamo diventati, dopo Mussolini, molto più esigenti: quelli di cartone li annusiamo subito”. E così fu: alla protervia di Craxi, che eccitava gl’intellettuali, gli italiani preferivano il grigio e molliccio understatement dei democristiani, che sapevano gestire il potere senza quasi farsene accorgere. Soltanto B., grazie al fascino del denaro, del successo e delle tv, riuscì a far digerire per vent’anni il suo guappismo molesto. Chissà cosa direbbe Montanelli oggi del suo quasi concittadino Renzi, rara avis di democristiano che posa un po’ da Craxi e un po’ da B. Certo, il ritratto di Bettino gli calza a pennello. Tranne forse la profezia finale: a giudicare dalle Europee, si direbbe che ne vogliamo un altro, di guappo di cartone. Renzi ne è convinto e ci marcia. Ma esagera.

Nel bene e nel male, non è B.: gli mancano i soldi, le tv, l’aura di successo e i crimini. Finché non è entrato a Palazzo Chigi, non ha sbagliato una mossa. Da quando è al governo, non ne ha più azzeccata una: gli 80 euro, con il loro effetto nullo sui consumi, sono già evaporati; le riforme su cui s’intestardisce –Senato e titolo V–non interessano a nessuno e, anche se riuscisse a condurle in porto, non migliorerebbero la vita a nessuno (salvo che a lui), mentre quelle che potrebbero cambiare il Paese in meglio segnano il passo o sono lettera morta. Eppure, con un così magro bottino di risultati, specie a fronte delle promesse fatte e delle aspettative create, continua a svolazzare come se il consenso fosse eterno. E cade nell’errore fatale di confondere il presenzialismo con il presidenzialismo: non basta baciare bambini, fare selfie con le fan, ingravidare madame con un’occhiata, twittare e messaggiare a ogni ora del giorno e della notte, imbucarsi nelle feste altrui tipo la partita del cuore o l’arrivo degli orfani dal Congo o della povera Meriam, ri-varare la fu Costa Concordia come la contessa Serbelloni Mazzanti Vien Dal Mare e poi volare a Parigi truccato da Miss Tour de France per calzare la maglia gialla di Nibali, insomma travestirsi da sposa ai matrimoni e da salma ai funerali, per avere in pugno l’Italia. Complice la crisi, data prematuramente per scomparsa, gli italiani potrebbero stufarsi di lui molto prima di quanto sospetti. E rottamare anche l’ultimo guappo di cartone, con largo anticipo sui predecessori.

di Marco Travaglio
Il Fatto Quotidiano 27.07.2014

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