Persone maligne paragonano Matteo Renzi a quei simpatici studenti universitari che regolarmente annunciano esami mai dati, con viva soddisfazione dei familiari, che tuttavia mai vedranno l’agognato giorno in cui festeggiare il fresco laureato. Il premier, per carità, è uomo degno di fede come ha dimostrato versando nelle buste paga di maggio gli 80 euro annunciati (per pura coincidenza) in campagna elettorale e che mai si permetterebbe di non rispettare il cronoprogramma delle riforme che rivolteranno l’Italia come un calzino. Soltanto qualche raro giornalista rancoroso e attento solo a evidenziare le pagliuzze negative ricorda che da febbraio a maggio tutto doveva cambiare, ma nulla è cambiato. Dimenticando che se abbiamo ancora il vecchio Senato, il vecchio fisco, il vecchio lavoro, la vecchia burocrazia e nessuna legge elettorale, la colpa è unicamente dell’ignavo Parlamento insensibile al plebiscito che ha sommerso Palazzo Chigi. Naturalmente il cronoMatteo non poteva certo prevedere l’imprevedibile, ovvero l’esplosione di mazzette sulle Grandi Opere vanto dell’italico ingegno e dunque, quando come un fulmine a ciel sereno lo scandalo colpì l’Expo milanese, il premier prima si disse rattristato, poi invocò il Daspo per i corrotti e quindi annunciò l’intervento decisivo di Raffaele Cantone, un serio e competente magistrato antimafia, subito descritto dalla stampa incline a evidenziare il bene come un crono-Zorro giustiziere dei corrotti. Cantone chiese giustamente di essere dotato dei necessari poteri per esercitare i controlli almeno sugli appalti ancora da assegnare (per circa 120 milioni). Così gli fu promesso un apposito decreto legge, poi scomparso nel nulla. Quando dal Mose veneziano è tracimato un mare di mazzette, Renzi si è detto turbato, poi ha parlato di “alto tradimento” per i politici corrotti, ma prima che potesse indicare Cantone come il giustiziere della Laguna, questi ha stoppato ogni ipotesi: “Non è il caso che me ne occupi”. L’impressione è che il magistrato non veda l’ora di ritornare al vecchio lavoro, anche perché oggi gli viene chiesto di combattere i cattivi con un’altra legge che non c’è, quella sull’anti-corruzione. Il cronoRenzi non perdona.
di Antonio Padellaro
Il Fatto Quotidiano 07.06.2014