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STAMPA, LA LOBBY DEGLI EDITORI BATTE RENZI

quotidiani-2FLOP Salta il tentativo del premier di tagliare gli inutili 120 milioni per la “pubblicità legale”

 Dopo quello ai concessionari delle spiagge, anche il regalo agli editori è servito. Due righe per modificare l’articolo 26 del decreto Irpef – quello dei famosi 80 euro in busta paga – e i giornali si sono visti restituire, per ora, i 120 milioni di euro che Matteo Renzi gli aveva sfilato con la norma che abrogava l’obbligo per gli enti pubblici di pubblicare bandi e avvisi di gara sui quotidiani.    IL PREMIER l’aveva annunciato durante la conferenza stampa di metà aprile a Palazzo Chigi, ma dopo settimane di pressing sotterraneo ed editoriali allarmati su tutti i giornali, la Fieg, la Federazione degli editori, ha vinto la battaglia.Tutto rimandato al 2016, grazie a un emendamento a firma Pd, fatto proprio dal governo e approvato in extremis nella serata di ieri dalle commissioni Bilancio e Finanze del Senato, con il solo parere contrario del M5S. Una boccata d’ossigeno temporanea, ma la lobby proverà a far saltare definitivamente la norma che terrorizza il settore.A conti fatti, il buco che si aprirebbe dal 2016 nei bilanci delle concessionarie di pubblicità potrebbe essere molto più grande di quello stimato dal governo. Nel testo del decreto infatti, la stima del risparmio previsto – 120 milioni di euro appunto – è attribuito alla Fieg, cioè agli stessi editori, ma curiosamente la federazione quei numeri dice di averli appresidalle concessionarie di pubblicità, che a loro volta smentiscono tutto. Come ha fatto il governo a quantificarli? Nei bilanci la voce dettagliata non compare, eppure si tratta di cifre molto elevate. Oltre agli accorati appelli a mezzo stampa, persino una Regione, la Puglia, ha chiesto al premier di ripensarci. Il motivo è semplice: quei soldi servono a salvare i bilanci disastrati di giornali locali che saranno riconoscenti.

SI CHIAMA “pubblicità legale”: l’obbligo previsto dalla legge di comunicare a mezzo stampa alcune informazioni relative ad appalti pubblici e altre attività delle imprese, obbligo reso anacronistico dal web che permette di garantire la trasparenza a costo quasi zero . Secondo l’ufficio legislativo del M5S, il beneficio per i giornali arriva a 2,5 miliardi di euro. Non solo soldi dello Stato, ma anche una sorta di tassa sui privati che vincono appalti pubblici. È il vero finanziamento all’editoria, al confronto i contributi diretti (80 milioni per il 2014) sono spiccioli. In questi anni di crisi è il tipo di pubblicità che è calato meno. Se l’inserzionista è lo Stato, infatti, gli sconti selvaggi che le concessionarie sono state costrette ad applicare ai privati non sono necessari. Tanto i costi – secondo una norma del decreto “sviluppo bis” voluta dal governo Monti – a partire dal primo gennaio 2013 vengono scaricati sugli aggiudicatari, che hanno l’obbligo di rimborsare la stazione appaltante. Così l’ente pubblico non si interessa degli sconti, e chi vince un appalto da milioni di euro non protesta certo per poche migliaia di euro di spese per comprare per la pubblicità su un giornale.
LA TORTA è gigantesca, e le norme del decreto non toccavano le aste giudiziarie immobiliari. Anche qui è previsto l’obbligo di pubblicazione sui quotidiani. I prezzi vengono concordati con i tribunali, che poi scaricano i costi sui creditori. Burocrazia che ancora esiste anche se da anni i tribunali pubblicano tutto online. “Il vero scandalo sono i prezzi praticati al tribunale dalle varie testate rispetto a quelli pagati sulle stesse testate dagli inserzionisti commerciali”, spiegaMaurizio Callegari, imprenditore Biellese che guida un’agenzia di pubblicità attiva nel ramo immobiliare. Numeri alla mano, Callegari illustra il meccanismo: “Per ogni avviso pubblicato nel 2013 il Tribunale ha concordato un prezzo di 110 euro con l’Eco di Biella, 160 con il Biellese, 840 con La Stampa (pagine locali), e 531 con La Repubblica. Poiché ogni pagina di queste testate contiene mediamente 14 avvisi, il costo-pagina per testata risulta essere: 1.540 euro per l’Eco di Biella, 2.240 per Il Biellese, 11.760 per La Stampa e 7434 per Repubblica”. Le stesse pagine acquistate da inserzionisti commerciali, dalla documentazione raccolta da Callegari, vengono normalmente vendute a meno di 350 euro. “Tradotto in cifre significa che per le oltre 270 pagine acquistate nel 2013 la spesa del tribunale ammonta a circa 1,2 milioni di euro, mentre lo stesso numero di pagine acquistate da inserzionisti commerciali sarebbe costato al massimo centomila euro ”. La legge vuole imporre la trasparenza e fare in modo che tutti possano accedere a informazioni rilevanti. Eppure non obbliga a pubblicare gli avvisi sui quotidiani nazionali, risultato: “Le imprese scelgono spesso giornali locali, o le pagine locali di giornali nazionali, diffusi meno di un bollettino parrocchiale, , con un investimento pubblicitario totalmente ingiustificato”, dice Callegari. Grandi benefici per i giornali che ringraziano, minima garanzia di trasparenza.

NELLA PUBBLICITÀ  commerciale, invece, i prezzi sono crollati. “Da anni i giornali, soprattutto quelli locali, vendono spazi pubblicitari agli investitori immobiliari privati a prezzi stracciati”, Callegari ha scritto al Tribunale di Biella chiedendo spiegazioni. “Per tutta risposta sono stato convocato dalla Guardia di Finanza per approfondimenti, e in quella occasione ho ribadito nel verbale i dati riportati nella lettera, che non sono stati contestati nel merito. Poi non ne ho saputo più nulla”. Da ieri, anche gli appalti banditi dagli enti locali torneranno a garantire entrate sicure per i giornali. Con buona pace dei proclami del premier. La Fieg però non aveva mai creduto davvero che Renzi facesse sul serio. La relazione tecnica al decreto stimava i risparmi per la pubblica amministrazione in 75 milioni di euro e non nei 120 più volte indicati da Renzi. Cifra che sarebbe ancora più bassa se non fosse che molti appalti sono stati banditi prima della norma introdotta da Monti. Un risparmio minimo, quindi, per lo Stato. Tanto è una tassa occulta il cui costo viene pagato da quelle imprese che il governo a parole invece dice di voler aiutare.

di Carlo Di Foggia
Il Fatto Quotidiano 04.06.2014

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