Il precipitare della grave questione costituita dai comportamenti sempre più abnormi e inquietanti del Presidente della Repubblica non è che l’ultimo anello della spirale involutiva che sta stringendo il Paese. I fenomeni di crisi che già investono l’economia, con i connessi rischi di crescente tensione sociale, il complessivo degrado del “sistema Italia” alla vigilia di impegnativi sviluppi sulla via dell’integrazione europea, richiederebbero un quadro istituzionale e politico profondamente rinnovato, capace di garantire, attraverso una limpida dialettica democratica, scelte chiare e azioni efficaci.
Ne siamo invece drammaticamente (dannatamente?) lontani, anche e soprattutto per la sordità mostrata negli anni e nei mesi scorsi dai maggiori partiti di governo di fronte all’esigenza di riformare il sistema e di contenere così l’onda delle reazioni di insofferenza e di rigetto che andava montando nell’opinione pubblica. Confusione ed esasperazione politica, marasma istituzionale, vuoto di governo congiurano nel rendere assillanti gli interrogativi sul futuro prossimo della democrazia e della società italiana.
Occorrerebbe in questo momento cruciale senso della misura da parte di tutti, per ristabilire un minimo di ordine nei rapporti istituzionali e politici, per porre sui binari giusti il contenzioso che si è venuto accumulando, per dare all’opinione pubblica il senso di un chiarimento e di un rinnovamento possibili alla vigilia di una cruciale prova elettorale. Si è totalmente smarrito il senso della misura al Quirinale.
Non c’è stata misura nelle scelte del Partito Democratico, da quando decise di schierarsi sconsideratamente come “partito del presidente” e ora che ha ripreso a farlo nel modo più clamoroso.
Oggi va sollevata una questione di incompatibilità tra l’aggressivo ruolo politico di parte assunto dal Presidente e la funzione attribuita dalla Costituzione al Presidente della Repubblica, tra un esercizio esorbitante dei poteri presidenziali e la permanenza in quella carica.
Riflettano tutti i partiti sul modo di porre questa che può configurarsi come una questione politica di dimissioni del Capo dello Stato: non si copra, nessuno, con l’alibi che rischia di diventare il problema dell’iniziativa di messa in stato di accusa annunciata – ma non ancora formalizzata.
Vanno affrontate così anche altre questioni spinose sollevate dai comportamenti del Presidente della Repubblica, come quella delle regole per l’accesso alla televisione pubblica, e quella dell’inquadramento istituzionale dei servizi di sicurezza.
Il peggio sarebbe lasciar cadere queste occasioni, eludere ogni questione, favorire una lunga e ambigua polarizzazione sul caso dell’incriminazione del Presidente ai sensi dell’articolo 90 della Costituzione, far marcire insieme esigenze di riforma del sistema politico ed esigenze di profondo rinnovamento nel governo del Paese.
Facendo scorrere così i prossimi mesi, si giungerebbe alle elezioni con un Paese stremato.
E’ più che mai in forse la governabilità del Paese, per garantire la quale non basta certo l’intento rassicurante del PD, l’impegno del suo nuovo segretario a continuare nella collaborazione con il Governo senza che neppure si dica per fare che cosa, in risposta a un così allarmante malessere, a un così inquietante groviglio di problemi.
Saremo giudicati tutti sulla base della nostra capacità di concorrere al superamento di quella spirale involutiva che si sta ora stringendo attorno alla questione del Presidente della Repubblica.