Quando il ministro greco Varoufakis dice che “l’Italia rischia la bancarotta”, i nostri politici ne fanno subito una questione di patriottismo e di finanza pubblica. Ma come, “il nostro debito è soldo e sostenibile” (Padoan). E poi mica siamo la Grecia, noi. In realtà, a parte il nostro debito che continua a crescere imperterrito, l’Italia rischia la bancarotta anche per altri motivi. Che non sono squisitamente finanziari, ma hanno conseguenze devastanti sui conti pubblici: la corruzione, le mafie e l’infedeltà fiscale, che rapinano ogni anno agli italiani circa 400 miliardi (un quinto del debito pubblico, il quintuplo degli interessi). Mettendo in fila le notizie di un solo giorno, quello di ieri, viene da rabbrividire. La lista Falciani riguarda 100 mila clienti – fra cui ben 7500 italiani – dell’Hsbc Private Bank di Ginevra con un tesoro di miliardi di dollari sottratti al fisco dei rispettivi paesi. Un piccolo campione dell’evasione fiscale, scoperto grazie a un funzionario che ha violato e svelato gli archivi segreti. Ma il dato va moltiplicato per mille o più: l’Agenzia delle Entrate calcola in 10-12 milioni i contribuenti italiani totalmente o parzialmente infedeli. Ci sono, certo, i piccoli imprenditori che evadono per necessità. Ma non contiamo frottole: la stragrande maggioranza sono riccastri travestiti da poveracci e dichiarano meno dei loro dipendenti. E in Italia non rischiano praticamente nulla, se non la parcella dell’avvocato, a causa di quel tacito patto che da decenni tiene legati governi e politici d’ogni colore al partitone dell’evasione, all’insegna del più ignobile voto di scambio.
La seconda notizia è l’indagine per mafia su Antonello Montante, uno dei simboli dell’antimafia confindustriale in Sicilia: le accuse dei pentiti vanno verificate dai pm sul piano penale; ma frequentazioni poco commendevoli già ne sono saltate fuori, almeno sul piano etico. Intanto il consigliere comunale Giuseppe Faraone, passato dai socialisti alla lista dell’antimafioso Rosario Crocetta alla Lega Nord (filiale palermitana), è finito dentro per estorsione mafiosa.
In Calabria il neogovernatore Pd Mario Oliverio non trova di meglio che presentare una giunta con quattro assessori indagati (uno per ‘ndrangheta) più l’ex ministra Lanzetta, che s’è subito dimessa perché si sentiva fuori posto: era l’unica non inquisita.
A Milano, a parte le continue retate su tangenti e infiltrazioni mafiose, 8 appalti Expo su 10 sopra i 40 mila euro risultano sospetti per l’Anticorruzione di Cantone. In Veneto, scandalo Mose a parte, il governatore leghista Luca Zaia nomina all’Anticorruzione regionale un dirigente arrestato per turbativa d’asta e un altro per peculato e malversazione.
Altro che “Capitale corrotta, nazione infetta”, come l’Espresso titolò nel 1955 la leggendaria inchiesta sul sacco di Roma. Oggi l’infezione è dappertutto, la nazione è marcia e avrebbe bisogno di una classe dirigente nuova non per età anagrafica o politica, ma per cervello e cultura, capace di impugnare la ramazza e varare subito un decreto draconiano per riportare un minimo di legalità e decenza. Come quello appena proposto dalla commissione Gratteri-Davigo. Invece Renzi ancora si balocca col condono fiscale fino al 3% (che poi corrisponde all’11% di nero legalizzato) e con l’eterno annuncio di un “Daspo per i corrotti” che non arriva mai. E a destra l’altro Matteo, il felpato Salvini, ricasca fra le braccia del pregiudicato e non osa neppure chiedere i danni all’ex tesoriere-predone Belsito, se no magari quello parla. Ieri una delegazione di parlamentari 5Stelle ha incontrato a Palermo il pm Nino Di Matteo: avrebbero dovuto esserci i rappresentanti di tutti i partiti e del governo, con loro. Finché chi governa e chi vuole governare non avranno le carte in regola per sbaraccare la trattativa Stato-mafia/evasione/corruzione, la bancarotta continueremo a rischiarla ogni giorno. E magari, se ci impegniamo un altro po’, centreremo anche quell’obiettivo.
Marco Travaglio
Il Fatto Quotidiano 10.02.2015