Vero che non bisognerebbe mai prendere in parola un politico, specie se si chiama Matteo. Ma, a sentir parlare Renzi, era parso che non avesse in grande simpatia Domenico Scilipoti. Ce l’aveva sempre in bocca, il dipietrista che nel dicembre 2010 fondò i “Responsabili”, passò armi e bagagli col Caimano, diventando la stampella del suo pericolante governo e il simbolo del politico voltagabbana. E dire che nella scorsa legislatura furono 160 i parlamentari che cambiarono casacca, e nel primo anno e mezzo dell’attuale sono già uno in più. Il numero 161 è Tommaso Currò, deputato eletto nel 2013 con i 5Stelle in Sicilia contro “Pdl e Pdmenoelle” e atterrato, dopo breve sorvolo, il 16 dicembre sul comodo materasso del governo Renzi. Dopo un lungo tormento interiore, ha improvvisamente scoperto che il M5S è guidato da Grillo e Casaleggio e non fa alleanze né a destra né a sinistra. Allora è trasecolato e se n’è andato, anche perchè nel frattempo si era accorto che il governo Renzi “ha marcato una discontinuità con le politiche di austerità europee”. Un campione di coerenza, un uomo tutto d’un pezzo, salutato con una standing ovation dell’intero gruppo Pd, balzato in piedi come un sol uomo. Compresi i tanti deputati che quattro anni prima vomitavano insulti (“traditori”, “venduti”, “trasformisti”, “voltagabbana”) sugli Scilipoti, i Razzi, i Calearo e altre decine di eletti nel centrosinistra che passavano al centrodestra orfano dei finiani. Renzi non s’è limitato agli applausi: informato preventivamente da Currò, gli aveva servito un assist sul piatto d’argento, invitando i 5Stelle a fare ciò che da sempre fanno le opposizioni nella Seconda Repubblica: inciuciare col governo. “Non vi hanno eletto per insultare o buttarla in caciara. Abbiamo bisogno anche di voi: se continuerete con le liste di proscrizione, perderete deputati e senatori e non andrete da nessuna parte”.Alla fine, tutto giulivo, il premier ha consegnato alla stampa un elogio del voltagabbana che (a parte Berlusconi), non si sentiva dai tempi di Agostino Depretis: “Quello di Currò è un gesto politico importante: fa vedere che può succedere. Quanti lo seguiranno? Vediamo, forse qualcuno. Il suo gesto rassicura gli altri che vorranno seguirlo”. Resta da capire che differenza passi fra il siciliano Currò e il siciliano Scilipoti. Renzi non lo spiega. Strano, perchè due mesi fa difendeva così l’asse col Caimano: “Quando avete dei dubbi sulla bontà del patto del Nazareno, ricordate che Razzi e Scilipoti non l’hanno votato” (24-10-2014). Ora gliel’ha votato Currò. E dire che meno di due anni fa proprio Renzi respinse l’accusa di Maroni a Bersani di fare “scouting” fra i grillini: “Negli ultimi 15 anni, la compravendita dei parlamentari è sempre stata monodirezionale. E comunque a creare Scilipoti non ci si riesce neanche in laboratorio” (21-2-2013). Ora ci è riuscito lui, trasformando il trasformismo in bidirezionale. Eppure il Renzi prima della cura aveva le idee chiare sui cambia-casacca: “I traditori veri sono gli Scilipoti” (18-1-2013). E prometteva di rottamare anche loro: “Siamo qui perchè non rinunciamo a credere. Non lasceremo la politica ai Batman e agli Scilipoti di turno” (23-10-2012). “Riappropriatevi della politica, non lasciatela nelle mani dei vari Scilipoti. Noi potremo perdere le primarie, ma non la faccia” (21-10-2012). Ora l’ha persa: “Se non cambia la legge elettorale, temo le liste ciniche: quelle che han portato in Parlamento gli Scilipoti. Io sono assolutamente a favore delle preferenze, perchè evitano gli inciuci: non dimentichiamo che D’Alema così è diventato premier facendo le scarpe a Prodi” (15-7-2012). Poi Renzi ha fatto le scarpe a Letta, l’inciucio con Berlusconi e l’Italicum senza preferenze. E sentite quest’altra: “Io non esco dal Pd nemmeno se mi cacciano, non sono mica uno Scilipoti. Se uno smette di credere in un progetto politico, non deve certo essere costretto con la catena a stare in un partito. Ma, quando se ne va, deve fare il favore di lasciare anche il seggiolino” (22-2-2011). Vale anche per Currò, o chiediamo scusa a Scilipoti?
Marco Travaglio
L’Espresso, 26 dicembre 2014