Le inchieste sul nuovo ad dell’Eni Claudio De-scalzi (indagato a Milano per corruzione internazionale) e sui candidati renziani a governatori dell’Emilia Romagna Matteo Richetti e Stefano Bonaccini (indagati a Bologna per peculato) la dicono lunga sulla portata rivoluzionaria del renzismo. Descalzi, nominato da Renzi al posto di Scaroni, era il braccio destro di Scaroni. Infatti è inquisito con Scaroni per la megamazzetta nigeriana. Alla presidenza dell’Eni Renzi, in perfetta coerenza, ha piazzato Emma Marcegaglia, azionista e dirigente del gruppo di famiglia che pagò tangenti all’Eni per un appalto Enipower. Se questo è il rinnovamento, tanto valeva tenersi Scaroni. Idem come sopra sul versante politico. Chi sono i “renziani”? Ex comunisti o diessini, ex democristiani o margheriti che negli ultimi due anni, fiutata l’aria che tirava, si sono paracadutati sul carro del vincitore un attimo prima o un attimo dopo che vincesse. Nulla di male, intendiamoci: una classe dirigente non s’inventa tra un tweet e un selfie. Ma questa non è rottamazione, e nemmeno rivoluzione: è riciclaggio. E l’idea che i 39 anni di Renzi immunizzino tutti i suoi dai guai giudiziari è una pia illusione. I guai giudiziari dei politici non dipendono dalle idee politiche dei pm, ma dai comportamenti dei politici. E nessuno può meravigliarsi se anche i renziani cominciano a cadere nella rete delle Procure: se tutti – diconsi tutti – i consigli regionali d’Italia sono sotto inchiesta perché si facevano rimborsare spese private con soldi pubblici, era abbastanza prevedibile che i renziani che vi bivaccano da anni finissero nei pasticci. “Cambiare verso” non significa essere immuni da collaboratori indagati: significa reagire alle indagini in maniera diversa rispetto al passato. E qui casca l’asino, anzi Matteo con tutto il cucuzzaro. Il premier, sull’indagine bolognese, non ha voluto fare commenti. Il che è già qualcosa, visto che quando Errani fu condannato in appello per aver fatto carte false nel tentativo di coprire lo scandalo dei finanziamenti regionali alla coop del fratello che non ne aveva i titoli, lo ricevette in pompa magna a Palazzo Chigi, manco fosse un eroe nazionale.
Sul caso rimborsi invece Renzi ha solo precisato di non aver chiesto a Richetti di ritirarsi né a Bonaccini di resistere (invece avrebbe fatto bene a metterli da parte entrambi). Se passa il principio che chi è indagato si ritira in attesa del processo, che ci fanno nel governo Renzi gli inquisiti Barracciu, Del Basso De Caro, De Filippo e l’imputato Bubbico? E che ci fa nella segreteria renziana l’indagato Faraone? La Boschi, poveretta, s’è affannata a richiamare la presunzione d’innocenza fino a condanna definitiva, come se questa vietasse le dimissioni di chi è raggiunto da gravi sospetti (automatiche e doverose in tutte le democrazie, fuorché in Italia). Su Europa, organo clandestino del Pd, si leggono commenti che paiono tratti pari pari dal Giornale o dal Foglio: “Politici e amministratori sono esposti alla discrezionalità spinta dei magistrati” in guerra “contro il governo in difesa degli stipendi e delle ferie”. Quindi giustizia a orologeria per vendicare la casta togata contro le riforme: ora Berlusconi chiederà le royalty. Europa (ma non solo) aggiunge che è “pazzesco” indagare Bonaccini per soli “4 mila euro in 19 mesi”: quindi se, puta caso, quei soldi Bonaccini li avesse davvero rubati, non sarebbe comunque reato per la modica quantità della refurtiva. Ergo, se uno scippatore frega la pensione a cinque-sei vecchietti, che fanno? Lo candidano a governatore? Sicuri che le mutande verdi di Cota a spese della Regione Piemonte costassero più di 4 mila euro? Si dirà: ma questa è la finta sinistra, poi c’è quella vera di Sel. Infatti l’assessore vendoliano alla Cultura, Massimo Mezzetti, dichiara spiritoso: “Facciamo così, per risparmiare tempo chiediamo alla Procura di Bologna chi vuole alla presidenza della Regione”. Mezzetti s’è scordato che in Italia accade così da anni, tant’è che indagato è diventato sinonimo di candidato. Ai tempi di B. la selezione delle classi dirigenti avveniva sul registro degli inquisiti. Oggi, invece, pure.
di Marco Travaglio
Il Fatto Quotidiano 12.09.2014