L’Italia, proprio in questo momento in cui la “Generazione Erasmus” bivacca a palazzo Chigi, sta preparando un futuro di povertà per gran parte dei fratelli minori di premier e ministri. Secondo una proiezione elaborata dal Censis e dalla Fondazione Generali, infatti, la cosidetta “generazione mille euro” (che racchiude i lavoratori a partita Iva e con contratti a tempo determinato: tutta la costellazione dei precari insomma) riceverà in futuro una pensione di molto inferiore non solo alla cifra che guadagnerà alla fine della sua carriera, ma addirittura rispetto a quella d’inizio. Meno di mille euro al mese. Un calcolo che si sviluppa su questo dato e che, secondo il rapporto, riguarda il 40 per cento dei lavoratori dipendenti che hanno tra i 25 e i 34 anni. Circa 890 mila contribuenti sanno che la loro pensione arriverà al massimo al 50 per cento del reddito da lavoro solo se, sottolinea lo studio, saranno capaci di versare contributi presto e con continuità. Una contraddizione in termini se si considera che più della metà ha avuto finora una contribuzione pensionistica intermittente, continuerà ad averla per molto tempo (negli ultimi dieci anni ci sono stati 1,8 milioni di occupati in meno tra i giovani, con un crollo di 10,7 punti percentuali) e l’unica soluzione sarà quella di lavorare in questo modo anche fino a 70 anni.
SI GUADAGNA POCO da un lato, cresce l’evasione contributiva dall’altro. E spesso è lo Stato stesso che, per un motivo o per un altro, dimentica di versare i contributi ai suoi dipendenti. Elementi che aggravano la condizione delle casse dell’istituto di previdenza. L’Inps, infatti, attualmente ha un buco di bilancio pari a 23 miliardi di euro. A causarlo è stato l’assorbimento dell’Inpdap, voluto dalla riforma Fornero, e del suo debito accumulato pari a circa 10 miliardi euro. L’ex presidente Inps Antonio Mastrapasqua aveva accompagnato la fusione prima di lanciare l’allarme: aveva avvertito che presto le casse dell’Inps sarebbero collassate. I trasferimenti statali all’Inps, oltre 93 miliardi nel 2012 in aumento di 10 miliardi rispetto all’anno precedente, erano contabilizzati come anticipazioni da parte dello Stato e quindi iscritti come debito da parte dell’Inps. E infatti l’ente ha poi perso 9,7 miliardi nel 2012, 11 miliardi nel 2013, circa 8 nel 2014. E il bilancio preventivo per il 2015 annuncia un buco di altri 7 miliardi. Il paradosso, rispetto al dato di oggi, è che le casse disastrate dell’Inps hanno come uno tra i pochi fondi attivi proprio quello dei lavoratori parasubordinati: l’attivo su questa categoria è di circa 8,7 miliardi. Sono i lavoratori che guadagnano di meno, quindi, a sostenere oggi gran parte delle spese dell’ente.
PIÙ CHE UN ENTE, UN’ENTITÀ ENORME. Secondo il bilancio consuntivo del 2013, l’istituto ha speso 4,2 miliardi di euro per il suo funzionamento: ha più di 30 mila dipendenti e un patrimonio immobiliare del valore di circa 4,3 miliardi di euro. La gestione di questo patrimonio – che in parte è confluito nel fondo Idea Fimit (di cui l’Inps è azionista al 30 per cento) – nel 2013 ha generato entrate per 86,9 milioni di euro e uscite pari a 150,3 milioni. Perdite di 63,4 milioni, dopo anni in cui ne erano state accumulate per almeno altri 100 milioni.
Resta la questione delle pensioni d’oro, quelle che Matteo Renzi, nel 2013 quand’era in corsa per le primarie, condannava per essere maturate su un sistema retributivo anzichè contributivo (90 mila euro lordi al mese, uno dei record raggiunti). Salvo poi ritirare il proposito dopo circa un anno, alla proposta del commissario Cottarelli di prelievi sulle pensioni superiori ai 2 mila euro.
In Italia, secondo gli ultimi dati dell’Inps, il 50,8 per cento dei pensionati riceve un assegno inferiore ai 500 euro al mese. Il 79 per cento, invece, meno di 1000 euro. La media è di 974 euro secondo i dati Istat, che indicano anche l’altra faccia della medaglia: il 5,6 per cento delle pensioni supera i 3mila euro e il 7,8 per cento di chi ne ha diritto percepisce più di tre pensioni. Si inserisce in questo contesto la proposta lanciata dal nuovo presidente dell’Inps Tito Boeri di effettuare un prelievo del 10 per cento sulle pensioni superiori ai 3 mila euro, calcolato sulla differenza tra quanto si riceve e quanto si sarebbe ricevuto con il metodo contributivo. Secondo le sue stime, è un passaggio che porterebbe all’Inps 4 miliardi di euro all’anno. Un’idea, come ha precisato il premier Renzi durante la conferenza stampa di fine anno, di una persona che “viene a darci una mano” ma che “non può diventare un programma di governo”.
di Virginia Della Sala
Il Fatto Quotidiano 15.02.2015